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Emmanuel e Beau, i morti sono tutti uguali?

I morti, si sa, non sono tutti uguali. Sono di prima e di seconda categoria. A Fermo, giustamente, si piange la scomparsa di Emmanuel: il nigeriano ucciso in una vicenda su cui indaga la magistratura. Presenza annunciata di Laura Boldrini, Presidente della Camera dei deputati, e manifestazioni indette dai centri sociali contro quel razzismo che sembrerebbe essere all’origine del fattaccio. Se queste fossero le risultanze definitive dell’inchiesta, non potremmo che condividere. Nessuno, in Italia, deve morire solo perché la sua pelle ha un colore diverso.

Ma questo stesso cordoglio non dovrebbe forse valere anche per Beau Salomon: lo studente appena giunto a Roma, da un mondo altrettanto lontano? Prima derubato, forse perché stordito dall’alcool, quindi spinto sulle rive del Tevere e poi gettato nel fiume da un gruppo stanziale di balordi, che, indisturbati, hanno fatto di quei luoghi la loro dimora abituale. Che cosa ha di diverso questo secondo delitto? Non riguarda forse un innocente e la sua voglia di vivere, che una mano assassina ha stroncato nel fiore degli anni?

Due episodi altrettanto drammatici, che dovrebbero scuotere le coscienze. Ed invece basta guardare al risalto che il mondo dei media ha loro dedicato. I lunghi silenzi dei diversi telegiornali nazionali, sul caso romano, lasciato alle cronache locali, rispetto alla copertura offerta per il brutto fattaccio di Fermo. Due morti, due identici drammi, ma un’odiosa discriminazione, nella loro narrazione. Che é anche il riflesso inconsapevole di un retroterra culturale che desta inquietudine.

Negli anni ’60 un cantautore ribelle, Ivan Della Mea, cantava dei morti ammazzati nelle guerre imperialiste. Nella sua “Ballata di Stanleyville” dichiarava apertamente di “fregarsene dei 300 bianchi uccisi in Congo”, delle lacrime di Re Baldovino del Belgio, perché sui quattromila negri, “uccisi dai paras”, non c’era stato “un cane” che aveva pianto “la loro perduta libertà”. Una protesta drammatica e provocatoria, certamente. Perché i morti, appunto, sono morti. Ma comprensibile in un etica traslata, che non guardava al colore della pelle. E che allora si nutriva delle grandi speranze legate all’emancipazione nazionale (ma si sono poi realizzate?) di quelle terre.

Oggi, quel paradigma appare, tuttavia, addirittura rovesciato. Si piange giustamente Emanuel, ma Beau è meglio dimenticarlo in fretta. Era bianco e pure americano. Ed allora “chi se ne frega” se aveva solo diciannove anni e diritto a vivere, in una città che aveva solo il dovere di proteggerlo. Ma che non ha saputo o voluto fare.

 

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