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Engie e Shell. Come i colossi britannici dell’energia sono poco elettrizzati dalla Brexit

L’industria energetica britannica è sotto choc. I principali analisti del settore sono concordi nel ritenere che nel breve periodo le conseguenze maggiori del Brexit saranno a carico dell’Europa; ma le previsioni per il medio-lungo periodo vedono le nuvole addensarsi sull’isola britannica.

Il referendum britannico è rimasto al centro dei pensieri di operatori e analisti, politici e opinione pubblica, ma la vittoria del “leave” col 51,9 per cento contro il “remain” fermatosi a 48,1 per cento ha spiazzato tutti, imponendo alla Gran Bretagna ed Europa di avventurarsi in un territorio del tutto inesplorato con la sola bussola del famigerato articolo 50 del Trattato di Lisbona. 261 parole tracciano il percorso che un Paese membro dovrebbe compiere per dire addio all’Unione europea entro un arco temporale di due anni.

Sul fronte energetico, è ragionevole aspettarsi un rallentamento degli investimenti per nuove infrastrutture e anche una frenata nello sviluppo delle fonti rinnovabili (l’Ue, infatti, con ogni probabilità non avrebbe più alcun interesse a “premere” su Londra per il raggiungimento degli obiettivi previsti per il 2020). Infatti, la reazione delle borse sui titoli azionari energetici britannici è stata molto negativa e anche il prezzo del petrolio ha accusato il colpo: dopo il sì alla Brexit il greggio americano Wti è sceso sotto quota 47 dollari al barile e il Brent ha subito un calo del 6,4 per cento.

L’anglo-olandese Shell, schieratasi apertamente contro la Brexit, fa sapere che lavorerà “con il governo britannico e le istituzioni europee su tutte le possibili implicazioni per il nostro business”. Intanto E.ON ha precisato che la situazione è sotto controllo e che in questa fase concentrerà la sua attenzione sui clienti.

L’ad di Engie, Isabelle Kocher, ha mostrato in una nota il suo disappunto per l’esito del voto. “La mia riflessione personale è di rammarico per questa decisione, se si considerano i benefici reciproci tra UK e Unione Europea negli ultimi 43 anni”.

“Sono scioccato”, così Alain Caparros, ceo di Rewe, commenta l’esito del voto al referendum inglese sulla Brexit. Il numero uno della società energetica tedesca teme che ora altri paesi europei possano seguire l’esempio britannico e quest’ultima “non può essere la risposta alle sfide della competizione globale con l’America e l’Asia. L’Europa rischia di perdere la sua influenza politica”.

Nell’immediato, tutta la lobby energetica britannica sta disperatamente frenando sul “leave”: l’obiettivo è aprire una fase di negoziato con l’Europa che si protragga il più a lungo possibile e durante la quale rimarrebbero in vigore tutte le norme europee.

Ora il fattore critico sarà l’approvvigionamento energetico dell’isola ormai extraeuropea. Infatti, proprio nei mesi in cui tutti i riflettori erano puntati sul referendum, la fonte principale di petrolio e gas per il continente si è trasferita dal Mare del Nord al Mediterraneo.



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