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Che cosa si sono detti Raffaele Cantone e i dirigenti di Federmanager

La mission e le funzioni dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, ma anche i problemi del nuovo codice appalti e il buco nero delle aziende partecipate. E’ stato un intervento a tutto campo quello di cui è stato protagonista ieri Raffaele Cantone di fronte ai vertici di Federmanager, la federazione che rappresenta 180.000 dirigenti attivi nel settore pubblico e privato.

IL RUOLO DEI MANAGER

Da una nostra indagine risulta che il 78% dei cittadini preferisce avere un manager nella governance della pubblica amministrazione“, ha rivendicato nel suo intervento d’apertura il presidente della Federazione Stefano Cuzzilla, accompagnato dal direttore generale Mario Cardoni. Indicazione che Cantone ha subito dichiarato di condividere: “I manager sono un pezzo fondamentale della classe dirigente del Paese. Solo una società che ha pregiudizi può guardare con sospetto chi produce“.

LA LOGICA DI CANTONE

Il problema della corruzione – tra i principali del nostro Paese – non va affrontato con la logica delle manette. L’obiettivo deve essere prevenire. All’idea che gli italiani siano antropologicamente corrotti non ci credo affatto“. Tre frasi che consentono di capire quale sia l’approccio generale di Cantone ai temi della giustizia e della corruzione. Un pensiero, il suo, che appare ispirato a un pieno garantismo: “Se c’è un 10% di arrestati e un 90% di non arrestati, non penso che nel secondo caso si tratti di colpevoli che l’hanno fatta franca. Per loro vale la presunzione d’innocenza“. Opinione lontanissima da quella del presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati Piercamillo Davigo, autore – ai tempi di Tangentopoli, quando faceva parte del pool di Mani Pulite – di una frase ormai entrata nei libri di storia: “Non esistono innocenti ma solo colpevoli che non sono stati ancora scoperti“.

LE REGOLE PER LA P.A. 

La scommessa è inserire nel sistema elementi che inceppino il fenomeno corruttivo prima ancora del suo verificarsi”, ha quindi commentato il presidente dell’Anac, per il quale è fondamentale che la pubblica amministrazione faccia un salto di qualità su due versanti in particolare. Innanzitutto la responsabilizzazione dei soggetti pubblici, con “la mappatura delle aree di pericolo” e il varo di strumenti che permettano “di sterilizzare i vari rischi“. In secondo luogo – ha aggiunto – bisogna agire sotto il profilo della trasparenza: da questo punto di vista la sfida – che Cantone definisce “una rivoluzione copernicana” – è far sì che “i cittadini possano sapere da casa in ogni istante cosa fa ciascuna pubblica amministrazione“.

IL NUOVO CODICE APPALTI

E’ uno strumento che scommette su un’Italia migliore, alla cui base c’è l’idea di un’amministrazione che si preoccupa di fare gli appalti per fare le opere“. Nessun dubbio sotto questo profilo: Cantone è convinto che il nuovo codice appalti rappresenti un’occasione da non perdere, nonostante a due mesi abbondanti dalla sua approvazione il mercato – pubbliche amministrazioni e imprese – fatichino a metabolizzarlo, con la conseguenza di un’autentica paralisi nel settore. “Abbiamo voluto superare la concezione per cui le pubbliche amministrazioni sono onnipotenti“, ha spiegato il presidente dell’Authority che ha aggiunto: “Adesso le pubbliche amministrazioni che vogliono bandire una gara d’appalto si devono qualificare: valeva già per le imprese ma con il nuovo codice vale anche per le stazioni appaltanti“.

IL NODO PARTECIPATE

Nessun attacco frontale sul tema partecipate che pure – ricorda Cantone – “ci costano oltre 27 miliardi di euro“. “Società pubblica non è necessariamente una brutta espressione“, ha evidenziato, prima di indicare quella che a suo modo di vedere deve fare in un contesto del genere la pubblica amministrazione: “Esca il prima possibile da tutte quelle attività che con il pubblico non hanno nulla a che vedere“. Affinché le partecipate si incamminino finalmente sulla strada della virtuosità, è necessario un management che sia all’altezza. Obiettivo difficile da perseguire – ha osservato però il presidente di Federmanager Cuzzilla – se si continua a consentire che i manager migliori abbandonino il settore pubblico: “I tetti retributivi non sono la soluzione per la questione della gestione delle partecipate. Serve discontinuità che si realizza anche premiando merito, responsabilità e saper fare. Altrimenti si finisce, come sta accadendo, con il rinunciare ai manager migliori che scelgono il privato, spesso andando all’estero“.

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