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Che cosa combinano in Francia intelligence e forze di polizia contro Isis?

Tutto è iniziato nel gennaio del 2015, quando due attentatori hanno attaccato la redazione del giornale satirico Charlie Hebdo e un terzo un negozio kosher a Parigi. Poi la guerriglia jihadista per le strade della capitale francese il 13 novembre, qualche altra azione minore, ma lo stesso preoccupante, poi la folle corsa del tir guidato da Mohamed Lahouaiej Bouhlel sul lungomare di Nizza, fino all’assalto alla chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray e la macabra esecuzione di padre Jacques Hamel.

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LA LINEA COMUNE

Azioni collegate più o meno direttamente all’estremismo islamico combattente, su cui il Califfato ha avuto ruoli di progettazione, come a Parigi, o ha semplicemente aderito con l’ormai nota prassi della pseudo-rivendicazione fatta passare per battuta d’agenzia giornalistica attraverso la sedicente news agency Amaq: mossa con cui l’IS sfrutta il contesto psico-sociale, o più chiaramente il giuramento di fedeltà prima del gesto (anche in questo caso, scrematura: chi lo fa al Califfo ha un livello di indottrinamento e consapevolezza superiore rispetto coloro che lo indirizzano all’intero Stato islamico). Tutti questi gesti hanno avuto anche un altro aspetto in comune: le polemiche sulla sicurezza e sul buon operato dell’apparato congiunto tra intelligence e servizi di polizia. E’ evidente che man mano che il tempo passa e che certi attentati continuano a ripetersi, polemiche e sospetti aumentano.

IL DIBATTITO POLITICO

Le polemiche attorno ai buchi di intelligence e ai vuoti di sicurezza che si portano avanti da oltre un anno e mezzo si sono rafforzate ultimamente con la diffusione dei risultati a cui è arrivata una Commissione parlamentare di indagine che ha esaminato gli attentati parigini dello scorso anno, che conferma in parte gli errori, e hanno preso ulteriore peso dopo che si è scoperto un vulnus tra quello che il governo ha raccontato sul livello di protezione impostato sul lungomare nizzardo e la realtà delle testimonianze emerse da un’inchiesta giornalistica condotta da Libération. Tutto si staglia su un contesto politico che vede François Hollande toccare il minimo storico dei consensi per un presidente francese, con la destra che approfitta delle debolezza per pressare sulle proprie posizioni. È in corso un dibattito politico al limite del tecnicismo (coinvolti avvocati e giuristi su ciò che è giusto o meno inserire tra i reati per terrorismo) su un progetto di legge proposto dai conservatori Guillaume Larrive, Éric Ciotti e Georges Fenech, i quali chiedono l’introduzione di provvedimenti più duri per dare alle autorità che si occupano di terrorismo islamista poteri speciali, come per esempio il carcere preventivo per tutti coloro che sono stati in Siria o hanno provato ad andarci, ma il governo di Parigi per il momento si oppone (richiederebbe un emendamento costituzionale), ma ha dovuto scendere a compressi e Hollande ha annunciato che a settembre inizieranno le consultazioni per la creazione della Guardia nazionale composta da riservisti, uno dei progetti proposti dalla destra. La situazione, già di per sé caotica, è peggiorata dal fatto che tutto in questa fase prende una dimensione elettorale, in vista delle votazioni presidenziali della primavera 2017. Libé, per esempio, è uscita con un calembour in prima pagina che dice “Dallo stato di diritto allo stato di destra?” De l’État de droit à l’État de droite?, dove “droit” è diritto, “droite” destra.

I RELIGIOSI CHIEDONO SICUREZZA

Mercoledì mattina all’Eliseo c’è stato un vertice con tutti i rappresentati religiosi in Francia, i quali hanno chiesto di rafforzare la sicurezza su tutti i luoghi di culto, altre pressioni su Hollande. “Abbiamo profondamente auspicato che i nostri luoghi di culto siano oggetto di una attenzione rafforzata, perché anche il più umile di questi può essere bersaglio di un’aggressione”, ha detto Dalil Boubakeur, rettore della Grande Moschea di Parigi: “Abbiamo sperato nell’avvenire – ha aggiunto –, sarebbe tempo per i musulmani di assumere la consapevolezza di ciò che non funziona in questa visione mondiale dell’Islam e che i musulmani di Francia prendano l’iniziativa di una formazione molto più attenta dei nostri religiosi”.

GLI ATTENTATORI DELLA CHIESA ERANO SCHEDATI

Entrambi gli attentatori dell’ultimo attacco, quello alla chiesa di Saint-Étienne-du-Rouvray, avevano giurato fedeltà allo Stato islamico prima di compiere l’azione; Amaq ha diffuso il video della baya, e molti dei giornali francesi hanno deciso di non pubblicare ulteriori immagini dei terroristi per evitare l’emulazione e la circolazione dei messaggi propagandistici che potrebbero creare proselitismo. Sicuramente uno dei due autori dell’assalto era noto alle autorità e già schedato dall’intelligence con la lettera “S”, quella che viene data ai casi di radicalizzazione considerata pericolosa per la propensione all’azione. Per questo montano ulteriormente le polemiche; la domanda è semplice, e coinvolge l’opinione pubblica quanto gli esperti: come mai i francesi, stante la situazione attuale, non alzano le misure di controllo su certi soggetti?

CHI ERANO GLI ATTENTATORI E COSA NON HA FUNZIONATO

L’uomo di cui per primo  è stata rivelata l’identità è un diciannovenne che viveva a pochi chilometri dal posto di nome Adel Kermiche, francese da genitori algerini immigrati, aveva già lasciato le proprie tracce ai servizi di sicurezza. Il 23 marzo 2015, quando ancora era minorenne, aveva provato un primo viaggio in Siria, ma era stato fermato a Monaco di Baviera, dopo che la polizia aveva ricevuto la denuncia sulla scomparsa fatta dai genitori e si era insospettita sul motivo della sua fuga. Tornato in Francia è finito sotto libertà vigilata e obbligo di firma in caserma. Provvedimento che non è bastato a bloccare il suo desiderio di unirsi al jihad nel Califfato, frutto di una radicalizzazione che secondo quanto raccontato dalla madre al giornale svizzero Tribune de Genève è avvenuta dopo i fatti di Charlie Hebdo (conferma, servisse ormai, della potenza del proselitismo emulativo) e più volte espressa con gli amici, che ne hanno segnalato ai media francesi anche un comportamento psicologicamente disturbato; pare dalle informazioni raccolte dal Monde, che fosse soggetto a trattamenti ospedalieri già dall’età di sei anni. L’11 maggio del 2015 era ripartito in direzione Siria, stavolta in compagnia di un amico, ma era stato bloccato di nuovo, in Turchia, da dove era stato consegnato nelle mani delle autorità francesi. Dieci mesi di carcere, poi il rilascio, a marzo di quest’anno: libertà condizionata da una braccialetto elettronico al polso e l’obbligo di residenza nella casa dei genitori. Dalle 8,30 alle 12,30 però le misure cautelari entravano in sosta, una sorta di lunga ora d’aria. È stato in quello spazio di tempo che ha portato a termine un piano probabilmente pensato come alternativa alla rinuncia forzata alla hijra califfale, rispondendo all’appello del portavoce dello Stato islamico Abu Mohammed al Adnani che ha chiesto ai proseliti di evitare di recarsi in Siria o Iraq, se il viaggio (hijra) si rende troppo complicato, e invece colpire direttamente gli “infedeli” in casa propria. Il complice di Kermiche si chiama invece Nabil Abdel Malik Petitjean, l’identificazione è stata formalizzata giovedì 28 luglio, dopo il test del dna eseguito anche sulla madre: anch’egli diciannovenne, nato in un piccolo comune della Lorena. Anche la sua è una vicenda che racconta una falla nel sistema comunicativo tra le forze di sicurezza: l’unità di coordinamento della lotta antiterrorismo, la Uclat, aveva ricevuto un’informazione dai servizi turchi, che lo avevano individuato il 10 giugno, ma per qualche ragione non chiara l’inserimento nel soggetto nella lista “S” è arrivata soltanto il 29 di giugno, mentre Petitjean era già rientrato in Francia, pare, l’11 giugno. Per questo motivo su di lui non sono scattati i controlli immediati previsti dalla classificazione come elemento ad alto rischio. I media francesi scrivono anche che quattro giorni fa la polizia aveva ricevuto pure una soffiata su un attacco imminente da un’agenzia di intelligence straniera (i turchi?): si trattava però di una nota contenente solo una foto senza nome, che pare essere stata di Petitjean. I poliziotti francesi lo hanno cercato per giorni, lo hanno trovato dopo aver ricostruito la sua identità in provetta, sfigurato dai colpi delle unità speciali Bri intervenute sul posto, ma ormai l’esecuzione in chiesa s’era già consumata.


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