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L’Fbi non indagherà Hillary, ma dice che è stata “estremamente negligente”

Il capo dell’Fbi, James Comey, ha consigliato al dipartimento di Giustizia di non aprire un’inchiesta contro Hillary Clinton per l’uso della casella di mail privata con cui ha gestito anche questioni di lavoro nel periodo in cui era segretario di Stato (dal 2009 al 2012). Nelle indagini condotte i Federali non hanno trovato gli estremi per procedere ulteriormente, ma Comey ha detto che la futura candidata democratica alla Casa Bianca è stata “estremamente negligente”, e non è una grande pubblicità per una che ha già difficoltà a raccogliere la fiducia degli elettori.

Per questo Donald Trump, suo concorrente di sponda repubblicana, non ha perso nemmeno un secondo per sottolineare che è stato “il sistema” stesso dell’establishment, di cui Clinton (sentita dall’Fbi anche una settimana fa) è accusata di essere parte integrante, a non aver deciso di procedere con l’inchiesta E dunque un’ulteriore dimostrazione delle sue incrostazioni con il potere. Trump cavalca il sentimento populista anti-establishment dei conservatori, e non solo, americani, per certi versi ne è una sorta di deriva estremista, e la decisione annunciata da Comey appare un’occasione ghiotta per la sua campagna elettorale; il dipartimento aveva già chiarito nei giorni scorsi che avrebbe seguito alla lettera i consigli dell’Fbi, perché il ministero della Giustizia è parte del governo democratico e voleva in questo modo evitare il rischio di conflitti di interesse. C’è da giurarsi che nonostante la storia sembri apparentemente chiusa, tornerà al centro del dibattito elettorale.

(Nota a latere. È curioso il tentativo di Trump di paragonare la vicenda di Hillary con quella di David Petraeus, il generale figura simbolica della guerra in Iraq, che finì in mezzo a una “incredibile” storia di amanti e gole profonde, che gli costò posto e faccia quando era direttore della Cia. Non è chiaro quanto possa essere valido come proxy per imbonirsi il consenso dell’ufficiale famoso per il Sunni Awekening, e dei suoi vari fan, visto che fu lo stesso Petraeus qualche mese fa a scrivere un op-ed sul Washington Post in cui in termine ultimo si diceva preoccupato di una vittoria di Trump).

La storia delle “email di Hillary” è uno dei temi che ha segnato l’intera campagna elettorale e uno delle spine nel fianco della democratica, e anche uno dei motivi per cui parte dell’elettorato ha un atteggiamento di sfiducia nei suoi confronti. All’epoca del suo ruolo da segretario di Stato, per farla breve, aveva usato un indirizzo personale piazzato su un account di famiglia dal quale aveva gestito anche posta privata – per comodità, è la sua difesa. Ossia, conversazioni sensibili tenute nell’ambito del suo lavoro da capo della diplomazia americana erano state mescolate con le lettere che si scriveva con la figlia o col marito. Questo non era un reato ai tempi (ora le leggi sono cambiate), ma il problema è nato quando, una volta lasciato il posto per John Kerry, le è stato chiesto dal dipartimento di consegnare tutte le sue missive per l’archiviazione (essendo documenti di interesse nazionale) e lei ha risposto che avrebbe dovuto scremare le sue mail private. L’analisi dell’Fbi aveva come scopo di capire se ciò era vero, oppure nell’operazione di ripulitura dell’account (e del server, passaggio considerato poco chiaro) c’erano finite anche questioni “classificate”. E semmai, il punto chiave, perché.

L’inchiesta condotta dagli uomini di Comey ha concluso che non c’è stato alcun dolo: ossia, c’erano in mezzo a tutto quel mare di email (oltre 30mila le consegnate e altrettante quelle cancellate) informazioni riservate, otto erano addirittura “top secret”, ma la cancellazione non è stata fatta per nascondere qualcosa. Il capo del Bureau ha detto che “qualsiasi persona ragionevole nella posizione di Clinton o di chi corrispondeva con lei avrebbe dovuto sapere che quell’indirizzo email non era adatto a inviare o ricevere quelle informazioni”. Ovviamente la paura, il rischio era che quelle conversazioni, viaggiando da, e essendo archiviate in, un server non protetto dai livelli di cyber security ministeriali, sarebbero potute finire in mano a hacker o ancora peggio a governi rivali. Però, “per quanto ci siano prove di potenziali violazioni delle informazioni”, ha aggiunto, “secondo la nostra valutazione non c’è stato niente di intenzionale”.

Oggi a Charlotte, in North Carolina, Hillary s’è presentata al primo evento pubblico in compagnia del presidente uscente Barack Obama. “Non c’è mai stato nessun uomo o donna più preparati di lei per questo ufficio” ha detto Obama. La probabile prossima inquilina dello Studio Ovale ha ringraziato il presidente ricordando che le sue amministrazioni hanno portato 75 mesi consecutivi di crescita, e ne ha promessi altrettanti. Siparietto su Trump: “Donald, se stai tweettando, Barack è delle Hawaii”, riferimento diretto ai cartelli visti in un corteo pro-Trump del 4 luglio, in cui Obama veniva definito “bugiardo africano”; non è la prima volta che accuse di razzismo piovono su Trump e sul suo elettorato.

 

(Foto: Twitter, Mark Knoller)

 



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