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Ecco come il Movimento 5 stelle è stato sbertucciato dal Tribunale di Napoli

Il Tribunale di Napoli ha finalmente svelato pubblicamente il grande bluff della democrazia a cinque stelle. Stavolta ad essere sventrato dall’apriscatole (giudiziario) è stato proprio il movimento del comico genovese. Con le cesoie del diritto in mano infatti la settima sezione civile del collegio partenopeo ha sezionato i meandri dell’organizzazione grillina facendone a fette le condotte antidemocratiche, le prassi opache ed il linguaggio politico impregnato d’ipocrisia. Le critiche sin qui mosse da più parti alle modalità d’esercizio della democrazia interna al movimento hanno trovato conferma nell’esito di un giudizio cautelare d’appello celebrato nel rispetto del contraddittorio, della trasparenza delle forme del processo civile e della terzietà del giudice.

I fatti sono noti. Alcuni iscritti al movimento cinque stelle (attivisti a Napoli) hanno ricevuto una mail firmata “lo staff di Beppe Grillo” con la quale – in nome e per conto del comico – sacerdote fondatore, sono stati accusati di alto tradimento e confinati quindi nel limbo della sospensione dal movimento prima e nella gogna della espulsione definitiva poi.

I “congiurati” però, per niente disposti a fare spallucce di fronte all’esecuzione sommaria ordinata “in nome e per conto di Beppe Grillo”, hanno chiesto al Tribunale di Napoli di verificare la legittimità dell’operato del fantomatico “staff”, lamentando che nessun organismo collegiale rappresentativo del movimento avesse potuto valutare e deliberare pubblicamente e nel contraddittorio delle posizioni (come previsto peraltro dalla legge e dallo stesso statuto dell’organizzazione) il comportamento dei singoli militanti accusati di fare il doppio gioco con il nemico.

Il Tribunale, senza entrare nel merito delle contestazioni che saranno vagliate in altra sede di giudizio, si è espresso in ogni caso in maniera inequivocabile sanzionando l’illegittimità delle epurazioni per gravi violazioni dei diritti individuali dei presunti dissidenti e riconoscendo la sussistenza dei gravi motivi che giustificano la sospensione delle sanzioni adottate dallo “staff” di Beppe Grillo (a questo link il testo dell’ordinanza del Tribunale di Napoli).

La stampa nazionale che strizza l’occhio oramai da troppo tempo al populismo forcaiolo dell’ “onestà” ha usato toni e registri narrativi alquanto lievi a dispetto dell’importanza che la notizia avrebbe dovuto assumere e dei commenti critici che avrebbe meritato. E’ stato in particolare inspiegabilmente sottaciuto il nocciolo della questione affrontata in sede giudiziaria, un nocciolo che è tutto politico, giuridico e democratico allo stesso tempo. Ed i risvolti politici della decisione giudiziaria sono stati senza alcuna ragione sottovalutati.

Il Tribunale di Napoli, infatti, ha in primo luogo ritenuto che gli artifici dialettici della propaganda politica (la fuffa in sostanza) non possono occultare la verità che vi si scorge dietro. Quello che, ad esempio, i cinque stelle chiamano “Non statuto”, affermano i magistrati, altro non è, giuridicamente, che uno statuto vero e proprio il quale non deroga alla regola del codice civile che investe esclusivamente l’assemblea delle associazioni del compito di escludere un socio solo in presenza, per di più, di gravi motivi. Il regolamento pubblicato sul sito di Beppe Grillo ed i compiti assegnati al suo staff di “regolare i conti” con gli adepti non del tutto allineati all’indirizzo del Capo e della Casaleggio Associati non hanno quindi alcun rilievo giuridico e legale. E ciò, a detta del Tribunale, anche per una considerazione di ordine generale che attiene alla sostanza della democrazia politica secondo la quale deve riconoscersi a ciascun associato tanto il diritto di essere giudicato dai suoi “pari” quanto l’interesse morale a che l’espulsione dal partito cui aderisce avvenga esclusivamente in presenza di gravi motivi e con le garanzie “di un procedimento decisionale conforme alle norme di legge”.

Nemmeno si può dare rilievo, aggiungono correttamente i giudici, all’artificio retorico di chiara matrice demagogica (ancora fuffa) con il quale il “Non statuto” definisce “non partito” il Movimento cinque stelle al fine di reclamare l’esenzione dalle regole democratiche per la concreta gestione dei rapporti fra le articolazioni interne all’organizzazione politica. Ogni associazione con strutture presenti sul territorio che concorre a determinare la politica nazionale, infatti, altro non è che un partito politico, il quale, per espressa disposizione costituzionale, deve uniformarsi ai principi giuridici che caratterizzano la democrazia.

Insomma, mentre la propaganda grillina martella insistentemente che “uno vale uno”, che l’Onorevole è  “cittadino”, che il movimento non è partito politico e che la democrazia è quella organizzata dal basso (il tutto all’evidente fine di dare di sé un rappresentazione anti sistema capace di intercettare il vento dell’antipolitica), un Tribunale della Repubblica, carte alla mano e prove sul banco, ha accertato invece che la paccottiglia è tanta e la merce buona è poca.

Dentro il movimento (che non dovrebbe essere vergogna chiamare partito) i 5 stelle hanno adottato  in realtà un’organizzazione monolitica che pretende fedeltà assoluta dai suoi aderenti agli indirizzi politici, ai giudizi e persino ai capricci  del comico ligure e della società di consulenza strategica Casaleggio e associati.

Tutto ciò mentre i militanti ed i parlamentari grillini sono mandati per ogni dove a fare strame della proposta di riforma costituzionale proprio perché, a loro dire, rappresenterebbe un progetto antidemocratico e verticistico che ridurrebbe oltre modo gli spazi dell’agire politico individuale.

Chissà allora se adesso, oltre che legalità, grideranno pure coerenza.

(A questo link il testo dell’ordinanza del Tribunale di Napoli)


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