Finita da anni l’era delle ideologie, l’Italia sta abbandonando anche l’epoca delle appartenenze politiche, che ha segnato la Seconda Repubblica: siamo entrati a pieno titolo nell’era della politica per affinità. Il partito di massa strutturato non c’è più da tempo. Quello fluido sta lasciando il posto a nuove forme di adesione. L’arena politica non è più strutturata lungo l’asse destra-sinistra, ma è composta da sciami, da communities of sentiment (per dirla con Arjun Appadurai) che associano le persone in base ad affinità ed emozioni, costruite intorno a nemici, idee di società e visioni di futuro. Le “comunità di sentire” producono legami forti in intensità, fragili in strutturazione. Le persone si riconoscono in esse finché sono capaci di rappresentare desideri, aspirazioni e pulsioni. E poi si cambia. Dieci anni fa non era così.
Nel 2006 il Paese era suddiviso in due blocchi contrapposti e impermeabili, lungo l’asse destra-sinistra: 19.002.598 (49,81%) hanno votato per il centrosinistra e 18.977.843 (49,74%) per il centrodestra. Oggi il quadro è mutato e gira attorno a un tripolarismo asimmetrico in costante movimento, con M5S e Pd sul 30% e il centrodestra (diviso) che tallona a brevissima distanza. Da che cosa deriva tale mutamento? In questi anni abbiamo assistito a un cambio di forma e di paradigma nell’adesione politica. Complice la crisi economica, la caduta del ceto medio, l’accrescersi dei fenomeni corruttivi e dell’omologazione tra i partiti, l’asse di adesione politica si è spostato dalle appartenenze alle emozioni.
L’arena politica si è strutturata in comunità affezionali, generate da sensazioni come rabbia, cambiamento, fiducia, speranza, paura, apprensione. In esse si entra ed esce facilmente, con persone che, contemporaneamente, possono condividere idee e sensazioni di più community. Le nuove comunità si strutturano in base ad affinità e a temi vetrina, che implicano il posizionarsi da una parte o dall’altra. E allora si è pro o contro la casta, pro o contro gli immigrati, pro o contro le tasse, pro o contro l’Europa ecc.
Ogni comunità ha un tema trainante, calamitico: il nemico del momento; ha una forza gravitazionale che funge da collante: l’idea di futuro, il mood ideale di riferimento. Osservato da quest’angolatura il panorama politico italiano appare composto da nove communities of sentiment, che si dispongono su un piano triangolare e non più sull’asse lineare destra-sinistra.
La prima comunità di cui possiamo tracciare il profilo è quella degli “Italexit”. Sono l’8% del corpo elettorale. Nemici della Ue, auspicano una Brexit italiana. Non sopportano Renzi, non vogliono politiche d’integrazione per gli immigrati e non vogliono sentir parlare di diritti dei gay.
Il secondo agglomerato è quello che ruota intorno alla sensazione “prima gli italiani”. Sono il 10%. Vogliono soluzioni nette contro immigrati, chiedono sicurezza e sono arrabbiati con i moderati che stanno sempre dalla parte del potere.
Terza comunità sono i “fiscal choc” (11%). Il collante che li unisce è l’avversione totale per le tasse. Si dicono ancora anti-comunisti e il liberismo è il loro faro.
“I moderati della governabilità”, sono la quarta community (12%). La forza gravitazionale che li tiene insieme è il fastidio per le posizioni estremiste e per il populismo. Figli di una visione razionale della politica, si riconoscono in ideali che fanno capo, pur provenendo da differenti culture, a una visione di moderatismo liberal democratico.
L’area liberal, in questi anni, si è arricchita di un altro tratto, i “liberal svecchiatori” (17%). Sono la community più grande. Fare le cose, colpire furbetti, e fannulloni, ridurre la burocrazia, nonché riformare la società e la politica, sono i loro mastici. Governare, per loro, è un fatto di dinamismo, per far uscire il Paese dalle secche e dalle gerontocrazie.
Sesta community è quella dei “big responsability” (12%). Colpire la corruzione, le mafie, ma anche chi attenta la democrazia e si approfitta della gente, sono il comun denominatore. Riformisti storici. Antifascisti, antiberlusconiani, sono attratti dalle istanze della partecipazione civica.
Alle loro spalle troviamo i “post idealisti disorientati” (8%). Il bisogno di un Paese equo e giusto, combattere i nuovi fascismi che fioriscono, punire i corrotti, aiutare gli immigrati a integrarsi e difendere i diritti civili: ecco il mix gravitazionale che tiene insieme questa community.
La penultima tribù politica è quella degli “sharing anti-élite” (12%). I loro nemici sono le banche e i poteri forti. Il fattore che li unisce è l’avversità verso tutti. Non amano la Ue, auspicano un Paese più meritocratico e vogliono un governo che abbia il coraggio di mutare alla radice il Paese. Il loro ideale politico è quello del civismo attivo. Tra loro c’è un mix di provenienze, con segmenti antifascisti che condividono lo spazio con residuali dell’anticomunismo; antiberlusconiani, antisalviniani e antirenziani che convivono insieme.
Infine, i “decisi dell’anticasta” (11%). Desiderano un governo che rada al suolo la casta e metta al centro del programma onestà e concretezza. In termini programmatici non amano le tasse, auspicano il sostegno a piccole imprese, allevatori e agricoltori. Vogliono lottare contro banche e multinazionali e sono sensibili al richiamo degli italiani prima di tutto. Il disgusto per la vecchia politica e il definitivo superamento di centrodestra e centrosinistra sono i driver fusionali di questa community, che strizza l’occhio alle figure manageriali (se non fosse che guadagnano troppo).
Ogni community descritta ha un corpus di rifermento, una parte solida e una cassa di espansione e attrazione. Le persone che ne fanno parte possono avere atteggiamenti elettorali distinti. Possono astenersi o votare partiti differenti, secondo il momento e il tipo di elezione. Il principio guida nella scelta, tuttavia, è uno: votano il partito e il leader che sa intercettare al meglio l’affinità guida della community, che sa entrare in connessione con loro.