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Perché Virginia Raggi a Roma sulle strade sta prendendo la via sbagliata

Virginia Raggi

Trovare 70 milioni nelle pieghe del bilancio, rimodulando i relativi capitoli all’insegna della “cantierabilità” – termine orribile – dei vari programmi è cosa buona e giusta. Ma a due condizioni. Che non si imiti il Duce, quando faceva volteggiare gli aeroplani, sempre gli stessi, sulla testa dei propri alleati per dimostrare la propria presunta potenza. C’è forse qualcuno che possa dubitare di intervenire su Piazza Vittorio, ormai il centro della Chinatown romana? Seconda considerazione: siamo ben al di sotto del minimo sindacale. Nell’assestamento, rinviato a settembre, di ben altro tenore dovranno essere le scelte della nuova Giunta.

Un esempio può chiarire il tema. Nel bilancio, predisposto dal Prefetto Tronca, le somme stanziate per la viabilità e le infrastrutture stradali – le famose buche – ammontano a poco meno di 426 milioni di cui il 52 per cento per spesa in conto capitale. Oltre la semplice manutenzione. Nel bilancio del Comune di Milano, per gli stessi obiettivi, sono previste spese pari a quasi 604 milioni. Con una differenza di oltre il 40 per cento ed una forte prevalenza, il 74 per cento, per la spesa in conto capitale. La solita maggiore efficienza meneghina, si potrebbe dire. Se la situazione non fosse ben più drammatica.

Le strade di Roma sono più 8.300 chilometri, quelle di Milano superano di poco i 1.300. Roma quindi prevede di spendere per la propria viabilità poco più di 50 mila euro a chilometro. Milano investe invece 464 mila euro. Il rapporto è di 1 a 9. E’ facile prevedere che il gap tra la Capitale d’Italia e quella “morale”, invece, di ridursi è destinato ad aumentare, per la felicità dei suoi abitanti. Che di strade scassate, buche e voragini varie ne hanno piene le tasche. Come si è visto nella campagna elettorale.

Il problema, quindi, sembra irrisolvibile. Roma destinata progressivamente a sprofondare, nonostante voglie di cambiamento radicali e speranze di rinnovamento. Per andare alla radice di questi scompensi, bisogna avere chiara qual è la contraddizione principale che vive la Capitale. Le sue entrate extra-tributarie, quelle cioè che derivano dagli affitti, dalla valorizzazione del patrimonio, dalle imposte per l’occupazione del suolo pubblico e dalla pubblicità, dal saccheggio delle municipalizzate e via dicendo, sono pari ad un quarto di quelle milanesi. Per un totale di qualche miliardo. Dove un’Amministrazione attenta, in tutti questi anni, ha evitato di dissipare una ricchezza collettiva. Con l’obiettivo ridurre al minimo le tasse locali a carico dei comuni mortali. Operazione più che meritoria.

Ed ecco allora una possibile soluzione. Si rivolti come un pedalino il bilancio del Comune di Roma, ma per destinare le risorse che servono per attivare quei servizi e quei controlli che sono in grado di produrre reddito. Si potenzino quindi i servizi di riscossione. I controlli a tappeto contro un’evasione più che evidente.

Il target è quello milanese: meno imposte, più entrate extratributarie. Per garantire quel livello di efficienza media che è una delle caratteristiche di tanti Comuni italiani, ben gestiti. Avviato questo processo, si potrà bussare a cassa nei confronti del Governo. Che non può pensare di cavarsela con i 110 milioni concessi per “l’esercizio delle funzioni di Roma Capitale”. L’equivalenza di una pizza offerta ai suoi 2,6 milioni di residenti.

Al netto del pendolarismo quotidiano, che pure ha un costo aggiuntivo.

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