Non sono state molte le note positive sulla politica estera del governo Renzi, pur con il linguaggio diplomatico di un istituto come lo Iai, l’Istituto affari internazionali, che ha presentato l’edizione 2016 del rapporto sulla politica estera italiana. L’enorme debito pubblico, la politica migratoria, i temi della difesa e sicurezza e il rapporto con la Russia da un lato e con l’area del Mediterraneo dall’altro hanno tenuto banco nel dibattito sostanzialmente uniforme sulla necessità di più fondi per sicurezza e difesa e di posizioni più chiare in certi rapporti internazionali.
Dopo il presidente dello Iai, Ferdinando Nelli Feroci, è stato il direttore, Ettore Greco, a lanciare i temi caldi sottolineando con preoccupazione quanto il debito pubblico italiano, “su cui non c’è una credibile prospettiva di rientro”, aumenti i problemi con l’Ue e ponga dei limiti alle scelte di politica internazionale che implicano l’uso delle Forze armate. Ecco quindi che il generale Vincenzo Camporini, già capo di Stato maggiore della Difesa e oggi vicepresidente dello Iai, sollecitato dal moderatore Maurizio Caprara, ha affondato il coltello nella piaga dei fondi: 0,8 per cento del Pil che può appena superare l’1 per cento se si considerano anche gli investimenti del Ministero per lo sviluppo economico, a fronte del 2 per cento sollecitato dalla Nato. E’ vero che da anni i militari italiani si fanno valere nelle missioni tanto che oggi “ci cercano”, come ha detto Camporini, ma i tempi del Libro bianco voluto dal ministro Roberta Pinotti e che “è fondamentale” si stanno allungando a dismisura. Dal 2014, anno della pubblicazione, si attendono gli atti amministrativi e legislativi conseguenti. Perché? “Per colpa degli stessi militari, visto che qualcuno voleva che l’area di interesse dell’Italia fosse più ampia di quella euromediterranea indicata nel Libro” ha spiegato Camporini che non si è fatto sfuggire l’occasione per una stilettata nei confronti dell’ex capo di Stato maggiore della Marina, ammiraglio Giuseppe De Giorgi, attivissimo in una criticata attività di lobbying: “Infatti è passata una legge navale ben prima dell’attuazione del Libro bianco, un’evidente incoerenza”. Nel frattempo, comunque, le risorse troppo scarse impediscono un adeguato addestramento per tutti i militari, con conseguenti limiti agli impieghi all’estero.
E’ giusta la battaglia del governo di Matteo Renzi per spostare il bilancio dell’Unione europea dal perno centro-orientale a quello meridionale, ha osservato il direttore di Aspenia, Marta Dassù, però è “una battaglia riuscita solo in parte”. Per Dassù il Movimento 5 Stelle contesterebbe l’Ue e la Nato se vincesse le elezioni; nel frattempo, la sua critica riguarda i rapporti che l’Italia ha e dovrà avere con soggetti come Russia, Egitto e Turchia: “Come combinare i nostri interessi economici con nazioni che presentano tratti di illiberalità? Occorre una passione concettualmente più chiara” ha detto.
La lunga esperienza politica ha invece consentito a Pier Ferdinando Casini di restare (apparentemente) in equilibrio. Il presidente della commissione Esteri del Senato vede il bicchiere “mezzo pieno” riguardo alla politica estera dell’attuale governo per la coerenza mantenuta rispetto ai governi degli ultimi vent’anni su dossier come Turchia, Russia, Iran. “Ma Renzi – ha poi aggiunto – deve evitare l’eccitazione da autoreferenzialità perché poi nessuno fa sconti”. La prova è stata la battaglia per il biennio da membro non permanente del Consiglio di sicurezza dell’Onu: si pensa di avere un certo peso e poi solo per un pelo è stato “evitato uno smacco enorme” raggiungendo l’accordo con l’Olanda (un anno a testa) perché “Renzi ha capito che era la soluzione per salvare la faccia”. Cioè, non siamo stati in grado di garantirci i voti necessari.
Né le cose vanno meglio riguardo alla Libia: “Un conto è l’impiego dei militari in modo corretto e riflessivo – ha detto Casini – un altro è dire che vogliamo la leadership e poi impiegare una settimana per mandare un aereo a sgomberare i feriti libici”. Nel rapporto anche lo Iai è severo sulla disponibilità italiana a guidare una missione di stabilizzazione della Libia purché sotto l’egida dell’Onu: “Non si sa se queste esternazioni – è scritto nel rapporto – corrispondono a un ‘wishful thinking’ oppure a una reale volontà di impegnarsi nella gestione di una crisi di difficile soluzione”, visto che le condizioni poste dall’Italia sono “una richiesta ad hoc del governo libico, la cui mancanza di effettività è lapalissiana, e una risoluzione autorizzativa del Consiglio di sicurezza”. Nel rapporto si aggiunge che “la politica italiana è stata improntata a una estrema cautela in relazione alla partecipazione ad azioni militari che non fossero avallate dal Consiglio di sicurezza. Anche il supporto alla Francia dopo gli attentati di Parigi è stato molto tiepido, quantunque le norme del diritto internazionale consentissero azioni più incisive”. Sulla politica migratoria la proposta di “migration compact” presentata in Europa “è ora nelle mani dei governi e la capacità del governo italiano di convincere i partner europei sarà messa a dura prova.
Non arrivano buone notizie neanche dalle elezioni americane. Paolo Messa, direttore del Centro studi americani (ed editore di Formiche), ha detto che il “rapporto con gli Usa è il convitato di pietra. Hillary Clinton e Donald Trump hanno in comune la consapevolezza che il disimpegno sarà maggiore rispetto a quello di Barack Obama”. Non solo: in un’intervista al New York Times, Trump ha definito la Nato “un optional” aggiungendo che (se venisse eletto) gli Usa non interverrebbero automaticamente in aiuto di alleati attaccati, ma solo dopo aver verificato il rispetto dei loro impegni nei confronti degli Stati Uniti. Dunque, ha sottolineato Messa, le responsabilità dell’Europa e dell’Italia aumenteranno certamente nell’Alleanza atlantica e, in genere, sui temi della sicurezza. Nello stesso tempo, condivide le critiche espresse nel rapporto Iai sul “doppio binario” tenuto dall’Italia nei confronti di Russia ed Egitto, una posizione che “crea confusione”.