Divenuto nel 1943, con Benito Mussolini messo in minoranza dal Gran Consiglio del Fascismo, il giorno del rovescio, della caduta e del ludibrio, il 25 luglio di questo 2016 è trascorso quasi indenne per i politici che affollano le cronache.
Qualche danno se l’è procurato da solo, come ormai gli capita spesso da qualche tempo, il segretario leghista Matteo Salvini indicando sul palco festoso di cui era ospite a Sorcino la presidente della Camera Laura Boldrini in una bambola gonfiabile. E incorrendo in critiche meritatissime anche di chi è troppo spesso indulgente con le sue stravaganze. Persino del direttore del Giornale della famiglia Berlusconi, Alessandro Sallusti, che non ne condivide l’aspirazione a guidare una riedizione di quello che fu il centrodestra spodestando l’ex presidente del Consiglio, specie ora che “è tornato in piena forma” e spera nell’aiuto della giustizia europea per tornare a candidarsi prima della fine dell’interdizione comminatagli dalla giustizia italiana, ma considera ancora la Lega salviniana indispensabile elettoralmente ad una coalizione che pure dovrebbe attirare i moderati.
Va bene che di moderati, intesi nel senso letterale della parola, ce ne sono sempre meno, avendo tutti sempre più qualche nuova ragione per essere non arrabbiati ma furenti, però c’è un limite a tutto. Anche alla pretesa di scambiare per moderato Salvini.
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Un 25 luglio alla rovescia, nel senso di esserne uscito più rafforzato che indebolito, è stato quello trascorso ad Arcore, ospite di Silvio Berlusconi, da Stefano Parisi. Al quale l’ex presidente del Consiglio ha mosso il rimprovero, amichevolissimo, solo di rilasciare troppe interviste. Per il resto, sia pure in una versione meno generosa di quella di “coordinatore” attribuitagli nei titoli o nei richiami di prima pagina dal Corriere della Sera, che lo ha presentato ai lettori come il successore ormai di Denis Verdini, gli ha conferito o confermato l’incarico “ad personam” –come si fa con i direttori senza un giornale da condurre- di riorganizzare la malandata Forza Italia. Nella cui sede, a Roma, gli stanno già predisponendo un ufficio, dove Berlusconi lo ha incoraggiato a sistemarsi, pur non essendosi ancora iscritto al partito il mancato sindaco, per poco, di Milano. Né forse Parisi farà in tempo a farlo, visto che nei progetti suoi e di Berlusconi c’è la costruzione di un altro movimento, con tanto di nuovo nome, cui potrebbe dare un contributo decisivo un’assemblea, o congresso, già nel prossimo autunno.
Del fuoco “amico”, si fa per dire, di sbarramento levatosi dagli ufficiali e sottufficiali forzisti, abituati da tempo a contrapporre a Berlusconi tutti i suoi possibili successori per delegittimarli, anche quando godono inizialmente della benedizione del capo, l’ex presidente del Consiglio ha esortato Parisi a non preoccuparsi più di tanto.
Tuttavia, se fossero vere le indiscrezioni uscite da Arcore, Berlusconi avrebbe contato sulle dita di una sola mano i dissidenti, diciamo così, più insidiosi. Quelli che Parisi dovrebbe avere la pazienza e l’intelligenza di recuperare. Sarebbero il governatore della Liguria e già consigliere politico del presidente Giovanni Toti, il capogruppo del Senato Paolo Romani, e gli ex ministri Altero Mattioli e Maurizio Gasparri. Sono quattro in tutto.
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Stefano Parisi, il cui incontro conviviale ad Arcore sarebbe durato 75 minuti, si aspettava forse che sul quinto dito della mano con cui contava i dissidenti Berlusconi facesse il nome del capogruppo della Camera Renato Brunetta. Che in effetti è stato nei giorni scorsi, come al solito, il più loquace e urticante nelle dichiarazioni contro Parisi, peraltro suo vecchio compagno di partito e di corrente ai tempi d’oro del socialista Gianni De Michelis.
Evidentemente Berlusconi, che lo conosce nell’intimo meglio di Parisi, e ne sopporta da tempo le esondazioni, non prende troppo sul serio il suo capogruppo di Montecitorio. Per il quale pertanto questo appena trascorso è stato davvero un 25 luglio, il giorno cioè del rovescio, pur a carica invariata. Un rovescio da cui Brunetta ha cercato subito di riprendersi commentando ironicamente una nota appena diffusa da Arcore, in cui per il mancato sindaco di Milano ha visto e indicato solo il compito di redigere “un rapporto”. Campa cavallo, insomma.
Il povero Parisi farebbe tuttavia male a fidarsi troppo dell’ottimismo di Berlusconi. Giel’ha sconsigliato il già ricordato e non sospetto direttore del giornale di famiglia, Alessandro Sallusti. Che con cautela ha scritto di sentirsi “forse, direi spero, alla vigilia di cambiamenti veri”, purché il nuovo organizzatore, federatore, coordinatore, chiamatelo come volete, sia deciso a correre “dritto come un treno” per non finire “azzoppato” pure lui dai soliti più o meno noti, a prescindere dalle dita e dalle mani con le quali li conta Berlusconi.
Una volta tanto Sallusti si ritrova con gli umori di Giuliano Ferrara. Di cui abbiamo già riferito la paura di “morire a sinistra”, cioè di tornare a morire a sinistra, come ai bei tempi della sua gioventù a Torino, se il centrodestra non gli offrisse una seria alternativa al già tanto simpatico, per lui, Matteo Renzi.