Caro direttore,
la Direzione nazionale di ieri ha offerto molti spunti e può essere commentata e letta sotto diversi punti di vista. Io mi soffermo su tre impressioni/suggestioni.
La prima: il momento più emozionante, accolto da un applauso fragoroso e prolungato dalla platea, si é avuto quando, in replica a Gianni Cuperlo – che aveva svolto un intervento dei suoi, di raffinata perfidia, invitandolo tra l’altro a “uscire dal talent” – Matteo Renzi ha replicato raccontando uno spaccato della sua vita personale, tra crisi internazionali, terrorismi, immigrazione, emergenze occupazionali, fino a raccontare che non può andare a vedere le partite di calcio del figlio, che si vergogna di vederlo arrivare con la scorta. Si è commosso e la platea lo ha ricambiato con totale empatia. Un attimo dopo ha detto che il suo obiettivo è cambiare la politica in Italia, ma certamente la politica non cambierà lui. Frasi ad effetto? Forse; ma la mia sensazione è che questo sia il dato politico più pregnante della direzione di ieri: Matteo vuole continuare ad essere Matteo, se stesso, ed affrontare i prossimi decisivi mesi senza mutazioni, cambiamenti, tentennamenti.
La seconda: tra i tanti di noi iscritti a parlare, opportunamente la presidenza ha dato la parola ai leader, o presunti tali, di aree più o meno organizzate, alcune vere e proprie correnti, altre meno, ai ministri di peso politico, più che di peso di delega. C’era quasi un sapore di Direzioni nazionali antiche, di partiti antichi, in cui i membri del governo sentivano doveroso timbrare il cartellino. Alcuni, pochi, hanno messo in campo tutta la propria abilità tattica; la sensazione però, almeno la mia sensazione, è stata che si trattasse di “tanto rumore per nulla”, appunto perché Matteo continuerà ad essere Matteo, riottoso ad ogni tentativo di condizionamento correntizio.
La terza, ed ultima, non già per ordine di importanza: il documento presentato dalla minoranza, e respinto da noi tutti con un risultato numerico clamorosamente bulgaro, ha un testo ambiguo e astuto, e diventerà inevitabilmente pietra miliare dello scontro politico interno al PD. Ed infatti se non lo avessimo respinto, avremmo legittimato la inaccettabile costituzione dei comitati per il no da parte dei dirigenti del nostro partito; ora, invece, spero di sbagliarmi, la bocciatura del testo sarà brandita per giustificare il mancato impegno – o l’impegno in direzione ostinata e contraria – nella campagna referendaria per il sì. Referendum al cui esito, ancor più dopo ieri, non solo Matteo, ma l’intero PD, e soprattutto il Paese, legano i propri destini. Al lavoro, dunque: basta un sì!
Salvatore Margiotta
Senatore
Componente Direzione nazionale PD
Twitter: @s_margiotta