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Ecco cosa chiede la Libia all’Italia

Trasferimento rapido dei feriti in Italia. Un ospedale da campo. E una nave ospedale. Sono alcune delle richieste all’Italia che arrivano dalla Libia sia attraverso dichiarazioni pubbliche del governo Serraj sia attraverso le corrispondenze degli inviati italiani nel paese africano. Ecco tutte le ultime novità dalla Libia mentre proseguono le operazioni aeree degli Usa e si chiariscono le azioni delle forze speciali anche italiane.

CHE COSA STA SUCCEDENDO IN LIBIA

La principale notizia che esce dai combattimenti di Sirte, la capitale libica del Califfato dove le truppe governative stanno da mesi cercando di scacciare i baghdadisti, dovrebbe essere la riconquista dell’area del centro congressi Ouagadougou, per mesi il quartier generale dell’Is. E invece ci sono questioni dal carattere politico che avvolgono questo che potrebbe essere lo scacco decisivo per la sconfitta del Califfo in Libia: a combattere al fronte ci sono anche delle forze speciali occidentali. (Nota: l’accelerazione dell’offensiva anti-IS di questi giorni e la presenza dei commandos occidentali possono essere collegati).

L’AIUTO ITALIANO (E IL QUADRO NORMATIVO)

Tra queste ci sono anche gli italiani, in una missione congiunta sotto la guida dell’intelligence. La questione è nota da tempo, fonti governative hanno confermato lo schieramento a diversi media italiani. Da mercoledì 10 agosto circola l’informazione che adesso quest’impegno sarebbe stato messo nero su bianco in un documento trasmesso venerdì scorso al Copasir dalla presidenza del Consiglio, che è alla testa della missione, ma subito posto sotto il massimo livello di segretezza. È proprio un decreto del presidente del Consiglio, in discussione da novembre scorso, approvato a febbraio e subito secretato, a permettere al governo di inviare team dei reparti speciali nei teatri esteri sotto la linea di comando dell’intelligence. Formiche.net da subito ha sottolineato l’importanza di tale normativa, affrontando più volte l’argomento: i militari in questo modo possono muoversi sfruttando garanzie funzionali come l’immunità diplomatica dei servizi, ponendo certe missioni di rilevanza per la sicurezza nazionale sotto la completa regia di Palazzo Chigi, e senza che l’autorizzazione passi per il Parlamento. Dalla Libia, per quel che è noto, non sono arrivate richieste di supporto militare, e il ruolo degli italiani sul campo sarebbe “no-combat”. In un’intervista al Corriere della Sera uscita martedì 10 agosto il primo ministro libico, Fayez Serraj ha detto: “All’Italia noi chiediamo di trattare e curare nei suoi ospedali i nostri feriti di guerra. Vorremmo più cooperazione in questo senso. Gli aiuti medici e i visti per il trasferimento dei nostri feriti sul vostro territorio dovrebbero essere più rapidi. Abbiamo anche richiesto alcuni ospedali da campo che sarebbero molto utili per trattare in tempo utile i nostri feriti gravi sulle prime linee. Inoltre, abbiamo già ottenuto dall’Italia partite di visori notturni e giubbotti anti-proiettili che servono per salvare la vita ai nostri uomini. Ma non bastano. Necessitiamo di altri invii e altri aiuti”.

Tripoli ha chiesto a Roma l’invio di una nave ospedale, ma l’Italia ancora non ha dato risposta, e di un ospedale da campo, e su questo lo Stato Maggiore starebbe lavorando da un paio di mesi (occorre pianificare il sistema di protezione prima dell’invio), oppure trasferire dei chirurghi in sicurezza all’ospedale di Misurata. Per il momento il governo italiano s’è limitato ad inviare due aeri-cargo militari che hanno trasportato alcuni feriti in gravi condizioni agli ospedali della Penisola, e a fornire giubbotti anti-proiettili e visori notturni ad alcuni reparti dei miliziani (che “non bastano” dice il premier libico). Inoltre, l’apertura all’uso americano della base aerea siciliana di Sigonella (confermata al Corsera dal ministro degli Esteri Paolo Gentiloni), da cui potrebbero partire i raid, rientra indubbiamente tra i principali aiuti forniti dal nostro governo alla Libia. Palazzo Chigi sta accelerando anche sulla riapertura dell’ambasciata a Tripoli (è stata ufficializzata la nomina di Giuseppe Perrone a capo della sede diplomatica): secondo Roma anche questo passaggio sarebbe parte dell’aiuto umanitario richiesto dalla Libia.

IL RUOLO ATTUALE DEGLI ITALIANI

Qualche decina (una cinquantina, pare, ma il numero non è ufficiale) di uomini delle forze speciali adesso si troverebbero a Sirte, o forse a Misurata facendo di tanto in tanto qualche puntata nelle aree calde degli scontri (anche gli inglesi si sposterebbero giornalmente, coordinando le operazioni insieme ai comandanti libici, ma senza dormire al fronte). Il ruolo delle forze speciali italiane, svelato per primi da Repubblica sulla base delle testimonianze di alcuni ufficiali misuratini, sarebbe quello di occuparsi dello sminamento. Sirte, come Falluja o Ramadi in Iraq, sta per cadere, ma lo Stato islamico l’ha lasciata infestata di ordigni nascosti ovunque: è un’eredità di morte con cui i baghdadisti intendono far valere cara la pelle anche oltre la sconfitta. I libici non sanno come muoversi (letteralmente), ogni passo è un incubo perché potrebbe significare calpestare una mina – racconti simili a quelli degli iracheni di Ramadi. È anche questo campo minato che ha messo in stallo la campagna dando coraggio alla difesa degli uomini del Califfato, pronti al martirio, e muovendo il premier libico verso la decisione di chiedere aiuto agli americani per la copertura aerea. Ma a terra s’era reso necessario l’intervento di professionisti formati per certi teatri: gli italiani lo sono eccome, e sono anche in grado di fornire training ai combattenti locali. Un commento del presidente della commissione esteri del Senato, Pier Ferdinando Casini, fornisce un’ulteriore prova: “Addestrare i libici in operazioni delicate come lo sminamento è il minimo che possiamo fare” (Repubblica). Casini ha chiesto di evitare polemiche, difendendo la linea politica del governo di cui fa parte in alleanza con il Partito democratico, criticata in questo momento dalle opposizioni, che avrebbero voluto essere informate preventivamente sulla missione. L’aiuto nell’ambito delle attività di sminamento potrebbe essere stata una delle richieste fatte a Roma dall’esecutivo libico e non resa pubblica finora da Tripoli. La conferma definitiva su questo ruolo ricoperto dalle Sof (acronimo internazionale che sta per Special Operations Forces) italiane l’ha data il vice ministro degli Esteri Mario Giro, che in diretta a Sky Tg24 ha parlato di “militari italiani che aiutano a sminare” in “aree lontane dal fronte”: “Una storia molto pompata” l’ha definita Giro, ma che fa “parte dell’assistenza tecnica” che l’Italia fornisce al governo Serraj.

L’ITALIA E LA FRANCIA

Nei mesi passati i team specialistici italiani hanno già svolto operazioni coperte, con compiti di sostegno e sicurezza per gli agenti del servizio segreto estero (Aise), che si muovevano a Tripoli tessendo le trame politiche dietro a Serraj. Poi, quanto meno una parte, pare sia stata spostata a Benina, la base che ospita il grosso del contingente militare di Khalifa Heftar, il generale della Cirenaica che combatte una guerra regionalizzati e pseudo-personale, opponendosi al governo di Serraj: sembra una contraddizioni in termini – l’Italia è una delle principali stampelle diplomatiche e politiche del premier libico filo-Onu e manda soldati a sostegno di chi gli fa opposizione interna – e invece c’è tutto un gioco di equilibri dietro. Fonti che preferiscono l’anonimato, hanno spiegato a Formiche.net che quel dispiegamento in Cirenaica, anche in quel caso a sostegno dell’intelligence, aveva uno scopo ben preciso: controllare i partner europei, principalmente i francesi, che per via del loro rapporto preferenziale con l’Egitto (e con gli Emirati Arabi per riflesso), grande protettore di Heftar, avevano inviato alcuni reparti nell’area di Bengasi. Roma voleva capire da vicino questo doppio gioco di Parigi: dire che i soldati francesi hanno aiutato Heftar a Bengasi, dove i miliziani cirenaici stanno combattendo contro sacche islamiste (più o meno radicali) rimaste in alcune aree cittadine, ha la prova dei fatti. Il 17 luglio un elicottero di fabbricazione russo usato dagli uomini del generale freelance filo-egiziano è precipitato, forse abbattuto: tra i rottami sono stati trovati i corpi di tre uomini dei commandos paracadutisti francesi, e Parigi s’era trovata costretta ad ammetterne la presenza. Non è chiaro, al momento, se gli italiani e gli americani, che erano stati segnalati in Cirenaica si trovino ancora là o, più probabilmente, abbiano lasciato Heftar per concentrarsi esclusivamente su Serraj. Altre informazioni riferiscono che invece i francesi ancora si trovana a Benina, ma soltanto con uomini dell’intelligence.

AMERICANI E INGLESI

Commandos americani sono di certo presenti nell’area di Sirte, è stato il Washington Post a svelarlo (per la seconda volta nel giro di un paio di mesi), era la ragione a suggerirlo, è il vice portavoce del Pentagono Gordon Trowbridge a darne la prova definitiva mercoledì: “Un piccolo numero di forze Usa sono andati dentro e fuori della Libia per lo scambio di informazioni con le forze locali in centri operativi misti istituiti, e continuerà a farlo”. Serraj, appoggiato dall’Onu, ha ufficialmente chiesto il sostegno aereo statunitense per cercare di sbloccare l’offensiva che era entrata in stallo, e dunque le Sof devono essere nell’area per dirigere i raid, che nelle ultime ore sono aumentati dai due, tre giornalieri a numeri ben più alti, intorno alla ventina. Quantomeno, seguendo un copione già visto in Siria, devono dare supporto diretto ai libici, che sono quasi esclusivamente miliziani misuratini (gli altri sono tripolini fedeli al governo): il rischio è che i raid aerei, che nell’intervista al Corsera Serraj ha definito “chirurgici”, finiscano per centrare obiettivi sbagliati, tipo commilitoni o civili. Poi ci sono gli inglesi, che da mesi si trovano a Misurata, la potente città/stato che fa da zoccolo duro del potere politico-militare di Serraj: la loro presenza è confermata da vicende passate, come la neutralizzazione di un camion bomba a maggio, e dalla testimonianza diretta dei reporter sul posto, per esempio Vincenzo Nigro di Repubblica. Nigro racconta: “L’altra notte, mentre ci preparavamo a dormire in un distributore di benzina trasformato in centro comando, all’improvviso i capi (libici. ndr) hanno iniziato a urlare ordini. «Il responsabile dell’intelligence inglese ci ha detto che lo Stato islamico sa che questo è un centro-comando, potrebbero provare a fare un assalto stanotte, dobbiamo spegnere tutto e prepararci all’assalto. Tu, giornalista italiano e il tuo accompagnatore andate via»”. A Misurata le Sof inglesi condividevano la missione con omologhi giordani: l’informazione è stata fornita da Re Abudallah in persona al Congresso americano, di cui a marzo alcuni media inglesi hanno ottenuto i leaks.

LA POLITICA LIBICA

Di tutto questo apparato di unità di élite straniere non se ne parla troppo in via ufficiale, e, al di là dell’ammuina interna dei partiti (nel Regno Unito c’è un dibattito in corso da mesi, e da qualche giorno si sta aprendo anche in Italia), il motivo principale è che Serraj, che è da sempre in crisi di consenso, non può dire alla popolazione libica che per battere il Califfato – il suo primo grande impegno da premier – ha dovuto chiedere l’aiuto esterno. Il premier deve vincere da solo, rafforzarsi col sangue della battaglia e a quel punto giocarsi questa carta per ricevere la completa legittimazione per governare l’intera Libia: ossia, prendersi con la vittoria il voto definitivo del parlamento di Tobruk, tenuto sotto scacco da Heftar e dai partner politici. La vittoria contro l’IS per il primo ministro insediato dall’Onu è un passaggio politico necessario e cruciale, e per questo deve essere accompagnato da una giusta campagna mediatica; e dire che le forze speciali occidentali lo stanno aiutando, anche in modo decisivo, in questo momento non è ritenuta la cosa giusta. Il futuro, una volta sconfitto l’IS, sarà cercare una sintesi intra e extra libica: a Est ci sono i francesi, gli egiziani e i commandos inviati dagli Emirati Arabi che stanno con Heftar, mentre a ovest ci sono gli italiani, gli americani e gli inglesi che stanno con Tripoli. Il compito di queste forze straniere sarà promuovere la pace tra occidente e oriente libico, dato che le rispettive milizie per il momento si odiano. In gioco il futuro della Libia, che i libici, visto l’enorme crisi economico-sociale interna, spiegano essere molto più preoccupante dello Stato islamico.

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