“Se vince il No, la Costituzione non cambierà più. Per lo meno non sarà la mia generazione a vederne il cambiamento. Fine della storia”. Chi scrive così è Angelo Panebianco nel suo editoriale di sabato (20 agosto) sul Corriere della Sera. Io ho molta stima del prof. Panebianco, che, tra l’altro, conosco ed è un mio concittadino. Sono più grande di lui, ma credo non di tanti anni per dovermi ritenere di una generazione diversa dalla sua. In ogni caso, alla mia rimprovero molti errori, tutti confluiti – come nel ritratto di Dorian Gray – in un ammontare insostenibile del debito pubblico. Ciò per la pretesa di vivere al di sopra delle nostre possibilità. Sarei contento, tuttavia, se la mia generazione potesse evitare, almeno, di prendere a calci la Costituzione. Speriamo che la “storia” finisca proprio con il voto di novembre.
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Le mie critiche alla legge Boschi hanno sollevato delle repliche. Nel ringraziare i miei interlocutori per l’attenzione rivolta alle considerazioni da me svolte, grazie alla cortese ospitalità di Formiche, mi permetto di rispondere a quanto hanno osservato due di loro.
Giuseppe Lupoi mi scrive: “Caro Cazzola, la modifica dei regolamenti non può portare all’eliminazione del voto di fiducia al senato, all’obbligo del preventivi parere della corte sulla legge elettorale, all’aumento del quorum per eleggere il Presidente della Repubblica, ed a altre cosine che lei sembra trascurare”. Il signor Lupoi ha ragione. Premetto, tuttavia, che io non sono contrario al bicameralismo paritario e quindi al voto di fiducia da parte delle due Camere; che ho del parere preventivo sulle leggi da parte della Consulta (una palese violazione della classica ripartizione dei poteri) la medesima opinione che il rag. Ugo Fantozzi manifestava per il film ‘’La Corazzata Potemkin’’; che considero una pagliacciata i nuovi quorum richiesti per l’elezione del Capo dello Stato (dal settimo scrutinio in poi il quorum si calcola sul numero dei votanti, non più dei componenti: il che, alla luce del sistema elettore maggioritario, consente alla coalizione di governo di scegliere chi vuole, dopo la messa in scena di un quorum rafforzato nelle votazioni precedenti). Ciò detto, mi sono limitato, nei miei contributi, a sostenere che – per dare efficienza al lavoro legislativo ed istituzionale in generale – sarebbe stato più corretto e più semplice partire da una revisione radicale dei Regolamenti (che sono e restano barocchi) piuttosto che da un lavoro di modifica di una Costituzione rigida come la nostra. Vogliamo fare degli esempi? Non ha senso che, alla Camera, prima di votare la fiducia al Governo su qualsiasi provvedimento, si debba cessare ogni attività per 24 ore. Non ha senso che gli stessi emendamenti, bocciati nelle Commissioni, possano essere riproposti, ridiscussi e rivotati nelle Aule. Non ha senso perdere tempo, tanto in Commissione quanto in Aula, con la discussione generale, durante la quale sono presenti e partecipano solo gli iscritti a parlare (duelli oratori per la trascrizione nel resoconto, perché nessuno li ascolta) e se, sono fortunati, qualche loro amico. E che dire della sceneggiata del question time, fatto apposta per far apparire in televisione l’interrogante e quei pochi che ‘’fanno gruppo’’ vicino a lui? Credo di potermi fermare qui, anche se potrei proseguire oltre. Faccio solo notare che il rapporto tra Aula e Commissioni è una questione di carattere regolamentare. La Costituzione, per esempio, consente alle Commissioni di deliberare in via legislativa. Ma questo non avviene quasi mai, neppure per le leggine, per colpa dei Regolamenti. Ma una revisione della materia consentirebbe un radicale snellimento dei lavori parlamentari, anche in un sistema di bicameralismo paritario. Anche sulla c.d. navetta tra una Camera e l’altra, ci sono molte esagerazioni. Quanti sanno, per esempio, che già oggi, in un’eventuale terza lettura del provvedimento non possono più essere esaminate e discusse le norme che hanno avuto un’approvazione conforme da ambedue le Camere nelle letture precedenti?
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Credo di aver, in parte, già risposto, anche a Ruggero Pupo, il quale mi scrive:
“Ah, quindi l’abolizione del bicameralismo perfetto sarebbe una norma di rango regolamentare? Mi sa che è l’autore dell’articolo ad essere digiuno di diritto. D’altronde, come potrebbe essere diversamente dal momento che valuta la bontà di una norma in base al numero di parole che contiene?! Come si fa a dividere le competenze delle due assemblee legislative in regolamento? Altra cosa poco chiara è il fatto che il conflitto di competenze venga risolto dalla Consulta. Neppure due paroline sul fatto che, prima di tutto, interverrebbe il presidente della Camera”.
Potrei presentare delle referenze circa la mia conoscenza del diritto, ma, evidentemente, non mi sono spiegato bene. Io sostengo che nei nuovi articoli vi sono delle disposizioni che starebbero meglio in un Regolamento anziché in una Costituzione (tanto più che, paradossalmente, capita che l’applicazione di primarie norme di rango costituzionale viene condizionata alla definizione contenuta nei Regolamenti parlamentari (si vedono i rinvii effettuati). Quali sono le norme di carattere regolamentare che vengono “costituzionalizzate”? Per esempio, ha un senso scrivere in Costituzione che una legge approvata dalla Camera deve essere trasmessa al Senato, su materie di sua competenza, entro 10 giorni? Oppure, c’era bisogno di scrivere in Costituzione che il Governo può chiedere un percorso privilegiato per un provvedimento a cui tiene? Bastava una norma nel Regolamento. Lo sa, il signor Puppo, che già oggi, ad esempio, è sufficiente il Regolamento per consentire alle opposizioni di far mettere all’odg della discussione un disegno di legge di loro interesse? Io ritengo sbagliato e pericoloso che siano delle norme di carattere costituzionale a regolare minuziosamente delle procedure che, in questo modo, si irrigidiscono. È lo stesso errore che aveva fatto il Governo Berlusconi nella sua riforma, tanto che io votai No anche in quell’occasione. Quanto al fatto che i conflitti di competenza sarebbero rinviati all’esame della Consulta mi sembra tanto ovvio da non meritare ulteriori precisazioni. In sostanza, tra me ed i miei interlocutori vi sono dei dissensi di fondo. Al di là di questi, io credo che la tecnica legislativa usata nell’individuare e nel ripartire le competenze tra le due Camere, non faciliterà affatto l’agire delle Istituzioni, ma determinerà nuovi conflitti – arbitrati dalla Consulta – al confronto dei quali gli effetti sciagurati della deleteria riforma del Titolo V sembreranno giochi da ragazzi. Ultime “due paroline”. Se ne è capace, mi trovi, il signor Pupo – in giro per il mondo, civilizzato e non – un’altra norma costituzionale composta di 454 parole.