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Ecco cosa fa l’Italia in Libia contro Isis

Forze speciali italiane sul terreno e basi italiane utilizzate ormai da giorni dagli americani per bombardare Sirte. Sono due le notizie delle ultime ore sul fronte libico: la presenza delle forze speciali in funzione di scorta e di addestramento, più volte ipotizzata nei mesi scorsi, è stata infine ufficializzata nella serata del 10 agosto, mentre l’altra notizia è nascosta in un paio di righe dell’intervista che il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, ha rilasciato al Corriere della Sera dell’11 agosto.

Alla domanda se l’Italia permetta già agli Stati Uniti di usare le basi situate nel nostro territorio per bombardare l’Isis, Gentiloni risponde: “Sì. Non nella primissima fase, ma da quando il ministro della Difesa ne ha informato il Parlamento. Sono azioni mirate a una zona circoscritta di Sirte”. Dunque è ufficiale la concessione delle basi, anche se Gentiloni non ha precisato se si tratti di Sigonella, Aviano o di entrambe: il 3 agosto, durante il question time alla Camera, il ministro Roberta Pinotti aveva detto che “il governo è pronto a valutare positivamente un’eventuale richiesta di uso delle basi e dello spazio aereo”, richiesta che a quanto pare è stata contestuale.

Sappiamo da tempo che il decreto legge n. 174 del 30 ottobre 2015 sulla proroga delle missioni internazionali comprende la possibilità che il presidente del Consiglio autorizzi l’uso di membri delle forze speciali con le garanzie funzionali dei servizi segreti, dunque come se fossero agenti dell’Aise. E’ l’articolo 7 bis di quel decreto che lo prevede. Stando alle indiscrezioni delle ultime ore, con una nota inviata venerdì 5 agosto il governo avrebbe informato il Copasir, il comitato parlamentare di controllo sui servizi, sull’uso delle unità d’élite delle Forze armate in Libia. Ma quel decreto legge fa riferimento anche alla legge di riforma dei servizi segreti, la numero 124 del 3 agosto 2007, la quale all’articolo 33 comma 4 stabilisce che il presidente del Consiglio deve informare il Copasir sulle operazioni dei servizi di sicurezza in determinate circostanze e che “le informazioni sono inviate al Comitato entro trenta giorni dalla data di conclusione delle operazioni”. Dunque, la nota del 5 agosto si riferirebbe a operazioni effettuate nelle settimane precedenti. Cambia poco, naturalmente, se in questo momento sono in atto operazioni riservate o meno: alla fine della scorsa settimana, infatti, sembrava che le forze speciali non fossero in Libia; certamente ci sono state in passato e certamente ci saranno in futuro. Parliamo del Comsubin della Marina, del 9° reggimento Col Moschin dell’Esercito, del 17° stormo incursori dell’Aeronautica e del Gis dei Carabinieri, impegnati tra Tripoli, Bengasi e Misurata per spiegare ai libici come pianificare gli attacchi ai terroristi, come sminare il terreno e come acquisire informazioni di intelligence in zona di guerra (oltre a scortare, quand’è necessario, agenti segreti italiani).

La polemica politica sollevata in particolare dal Movimento 5 Stelle e da Sinistra italiana è sorprendente. I pentastellati delle commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato sostengono di aver saputo dalla stampa e non dal governo dell’uso delle forze speciali i cui compiti in Libia sarebbero ben diversi da quelli ormai noti. Quali sarebbero gli altri compiti? Ed è lecito rilevare che i 5 Stelle hanno ben tre membri nel Copasir (Vito Crimi, Bruno Marton e Angelo Tofalo)? Così come il capogruppo dei deputati di Si, Arturo Scotto, insiste sulla necessità di “un voto formale del Parlamento” per il coinvolgimento in un teatro di guerra. E l’approvazione di quel decreto legge del 30 ottobre da parte di una larghissima maggioranza del Parlamento che cos’era? Scotto può farselo spiegare dall’onorevole Francesco Ferrara (Si-Sel), anche lui membro del Copasir.

Un’altra importante notizia è l’imminente riapertura dell’ambasciata italiana a Tripoli. Nella tarda serata del 10 agosto, fonti del governo hanno annunciato la nomina dell’ambasciatore Giuseppe Perrone da parte del Consiglio dei ministri, anche se curiosamente non ce n’è traccia nel comunicato ufficiale. Una nomina che ha immediatamente ricevuto il plauso dell’inviato speciale del governo Usa per la Libia, Jonathan Winer. E’ una scelta che sancisce definitivamente un ruolo più attivo dell’Italia in un teatro così complicato dove il sostegno al governo di Fayez al Serraj si scontrerà per chissà quanto tempo ancora con divisioni all’apparenza insanabili. Stavolta i Carabinieri del Tuscania dovranno essere mandati per forza a proteggere la nostra sede diplomatica, come fanno in tutto il mondo. Sono passati circa tre mesi, infatti, da quando venne chiesto a diverse nazioni (Italia compresa) di fornire militari per proteggere la missione Onu in Libia: rispose solo il Nepal.

Infine, proprio nel giorno in cui tutta la stampa parla di Libia, il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha fatto visita al Coi (il comando operativo interforze da cui dipendono le missioni) con il ministro Pinotti e con il capo di Stato maggiore della Difesa, generale Claudio Graziano, e si è collegato con le varie sedi dove operano i militari italiani, compreso l’incrociatore portaeromobili Garibaldi, attuale “flag ship” della missione Eunavfor Med. La visita era stata rinviata più volte e se n’è avuta notizia grazie a immagini pubblicate dal portavoce di Renzi, Filippo Sensi, su Instagram e su altri social network. Nessun giornalista era ammesso: con l’aria libica che tira, meglio evitare domande.

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