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Massimo D’Alema non dice tutta la verità su Togliatti, Marchesi e la Costituzione

Massimo D’Alema dice il falso, confidando nell’ignoranza e nell’assenza di memoria storica. Per giustificare il No di iscritti, dirigenti e parlamentari del Pd in difformità dal proprio partito che ha promosso e votato in Parlamento la riforma sottoposta a referendum, afferma, letteralmente, “anche Concetto Marchesi votò contro la Costituzione. Ed allora c’era lo stalinismo”.

D’Alema si paragona a Concetto Marchesi. E questo è comico di per sé. E vuole affermare che, nel caso di Marchesi, lo stalinista Togliatti fu più liberale di Renzi perché non lo maltrattò. E tollerò il suo dissenso. A differenza di Renzi (che però non mi risulta minacci D’Alema di alcunché). Comunque D’Alema afferma il falso.

Primo: Concetto Marchesi non votò affatto contro la Costituzione. Votò contro un articolo di essa: l’articolo 7 che regolava i rapporti tra Stato e Chiesa riconoscendo i Patti Lateranensi del 1929. Marchesi fu un artefice della Costituzione e D’Alema non gli fa un buon servizio.

Secondo: Togliatti stalinista avrebbe mai tollerato un dissenso dichiarato e tollerò il voto contro di Marchesi. Togliatti autorizzò Marchesi a votare No.

In breve: gli serviva. Contro Togliatti Marchesi non avrebbe mai votato No. C’era lo stalinismo. È noto che il voto a favore dell’articolo 7 fu una decisione improvvisa e inattesa di Togliatti. Nessun dibattito preventivo, caro D’Alema. La posizione del Pci, dei socialisti, degli azionisti e dei liberali, con Benedetto Croce, fino al voltafaccia di Togliatti era un’altra: fare un concordato con la Chiesa ma annullando i patti del 29 e scrivendone altri. Togliatti decise, in tre giorni, di cambiare la posizione del Pci. E comunicò che il Pci avrebbe appoggiato l’emendamento DC (l’articolo 7 ) che riconosceva i patti lateranensi. Così: senza riunioni e confronti preventivi. Con lo sconcerto giustificato di Calamandrei, di Croce, del Psi, di tutta la sinistra non comunista e dei liberali. Togliatti fece una mossa politica: scelse di non rompere con la Dc. Che aveva ricevuto una minaccia ufficiale di abbandono da parte della gerarchia ecclesiastica. Invece Togliatti autorizzò Marchesi a votare no all’articolo 7. Lo autorizzò giustificandolo con ragioni di “principio” (oggi diremmo di coscienza).

L’articolo 7 non era tutta la Costituzione. Riguardava davvero una questione di principio. E, per molti versi formale: tutti volevano il Concordato con la Chiesa. Sinistra e liberali contestavano, solo, il testo pattizzio del 29. Togliatti autorizzò Marchesi a votare No. Fu una piccola manifestazione, stavolta all’inverso, della doppiezza togliattiana. In questo caso giusta e previggente: sarebbe stato pericoloso dividere la giovane Costituente sul tema delicato del rapporto con la Chiesa. Togliatti aveva ragione. Facendo votare No a Marchesi, un fedelissimo esponente del Pci, manteneva un ponte con la dissidenza liberale e socialista sull’articolo 7. Anche se l’aveva, in effetti, bistrattata. Marchesi, dal canto suo, si scostava dal voto di un emendamento della Dc, non dal Pci e, tantomeno, si scostava dalla Costituzione. Marchesi non promosse campagne per il No. Neé combattè la Costituzione come fa credere D’Alema. Era uno stalinista. Che, per ordine del Partito, aveva dovuto persino accettare compromessi professionali col fascismo. Fossi in D’Alema eviterei di paragonarmi a Marchesi. Per varie ragioni.


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