Mentre si discutono e si valutano gli spostamenti del più o meno 0,1% del pil, mentre ci si accapiglia sul mantra della “flessibilità” per il rilancio della economia europea c’è chi si occupa della vecchia e cara politica industriale di sistema. Un esempio di questi ultimi tempi ce lo propone Mario Sechi sul Foglio: “Bayer e Monsanto daranno vita al più grande gruppo industriale dell’agroalimentare del mondo, l’aspirina e i fertilizzanti, i fitofarmaci e la vitamina C”.
L’immagine di Mario Sechi è centrata e ci ammonisce sulla “disattenzione” verso la notizia, annunciata prima del vertice di Bratislava, che il colosso tedesco conquisterà il controllo di Monsanto, pagando 66 miliardi, e avrà quindi il controllo di un gruppo attivo in tutto il mondo. “È il più grande take-over mai realizzato nella storia dell’industria della Germania, che così muove la sua diplomazia economica, dispiega la forza della sua cultura industriale, va sempre più oltre i suoi confini, si espande e continua la sua storica ricerca di spazi”, conclude Sechi.
A questo punto debbo confessare che quando sento parlare di chimica e agricoltura, da ravennate, mi vengono in mente ricordi e riflessioni passate che alla luce di quanto sta succedendo paiono non solo molto attuali ma addirittura futuribili. Per capirci, quando si parla di futuro si indicano i progressi dell'”industria tecnologicamente avanzata” con le sue politiche di innovazione e ricerca e si finisce spesso per citare l’evoluzione dell’Itc. Che non è l’unico settore interessato dal “progresso tecnico”: come sappiamo vi sono altri campi e altre applicazioni altrettanto importanti, a cominciare da quelle nel settore medico e delle biotecnologie. Pensiamo all’evoluzione degli studi sul Dna, sul genoma, o alle reti neurali che aprono prospettive che non è un’esagerazione definire rivoluzionarie.
E qui a ben guardare – o ad avere voglia di trovare i giusti collegamenti – appare chiaro il collegamento fra tecnologia sofisticata e mondo agricolo, due settori solo apparentemente inconciliabili: pensiamo alle tecnologie utilizzate per i prodotti alimentari, con attenzione soprattutto all’impatto che hanno sulla salute (nel senso anche del suo ruolo nella prevenzione sanitaria). Non possiamo negare il posto che nella nostra società occupa la ricerca dello “stare bene” del voler “vivere bene”, degli elementi che permettono di incrementare l’età media della popolazione, della volontà di sconfiggere malattie e patologie. Sono tutti casi dove l’alimentazione e la cultura dell’alimentazione giocano un ruolo essenziale.
Se ci si permette una facile profezia, questo secolo verrà ricordato come quello della medicina e delle biotecnologie, come strumenti non invasivi di miglioramento della vita, che permettono di puntare sulla prevenzione più che sulla terapia a posteriori. È facile capire perché il settore dell’alimentazione si sta adeguando a questa tendenza: vanno però abbandonati vecchi comportamenti e fruste logiche produttive che ancora resistono all’interno del sistema.
In definitiva, l’intreccio tra questi tecnologia e settore agroalimentare è fondamentale per la crescita economica e sociale di una società complessa come quella occidentale, così come lo fu nel ‘900 l’unione tra l’agricoltura e i settori metalmeccanico, principalmente quello automobilistico, e chimico. Questo è l’aspetto centrale, a mio parere, nella vicenda Bayer-Monsanto. Quello che implicherà una più forte evoluzione di sistema. Perché siamo già dentro alla prossima “era industriale”, che nascerà dalla rivoluzione biologica. E tornando alla memoria, questa non può che tornare a quando, allora studente, fui colpito dalle parole di Raul Gardini: “L’economia funziona quando anche la soluzione dei problemi è un guadagno o meglio un utile ed è ricchezza! Bisogna innescare uno sviluppo che affronta positivamente i problemi globali”. Era il 1993 ma potrebbe essere oggi.