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Chi criticò la Costituzione (prima della riforma Renzi-Boschi)

Alla Costituzione, negli anni della sua nascita, non capitò una sorte molto migliore di quella che taluni critici riservano oggi alla revisione della parte II di cui in questa “Guida” si è parlato, e sulla quale i cittadini si pronunceranno a ottobre 2016.

Critiche impietose contro di essa furono espresse, con varietà di accenti e per le ragioni più diverse, da personalità come Piero Calamandrei (manca di chiarezza), Benedetto Croce (manca di coerenza e di armonia), Arrigo Cajumi (è prolissa, confusa, mal congegnata; è nata da una coalizione di interessi elettorali), Antonio Messineo (non è un capolavoro di arte giuridica; manca la certezza del diritto, ci sono gravi imperfezioni), Vittorio Emanuele Orlando (abbisogna di essere completata in parti essenziali), Alfonso Tesauro (è frutto del timore reciproco dei partiti), Luigi Sturzo (solo da noi il Senato è un duplicato della Camera), Francesco Saverio Nitti (fu preparata da uomini che non avevano nessuna pratica di costituzioni, conoscevano assai poco gli argomenti che dovevano trattare, non erano quasi mai stati all’estero…), Arturo Carlo Jemolo (non amo la Costituzione perché piena di espressioni che non hanno nulla di giuridico; apprezzo di più la secchezza, oserei dire la serietà, dello Statuto albertino).

Su tutti si distingue il giudizio senz’appello di Gaetano Salvemini (il cui caratteraccio e il cui radicalismo erano peraltro proverbiali). In una lettera all’allievo e amico Ernesto Rossi (col quale pure ebbe poi a litigare) scrisse addirittura nel 1947: «Ho letto il progetto della nuova costituzione. E’ una vera alluvione di scempiaggine. I soli articoli che meriterebbero di essere approvati sono quelli che rendono possibile emendare o prima o poi questo mostro di bestialità…». Potrebbe essere un commento del Fatto alla riforma Renzi-Boschi.

Tutti costoro, per lo più pur prestigiosi esponenti dell’Italia prefascista (un paio presidenti del Consiglio!), ma anche antifascista, con tutta evidenza si sbagliarono. Tanto più che le loro critiche – guarda un po’ – si accentravano non solo ma soprattutto su quella prima parte della Costituzione (artt. 1-54) che ha mostrato il rendimento più soddisfacente, al punto da costituire una tavola di principi, valori, diritti e doveri che nessuno (o quasi) mette oggi in discussione e non è oggetto di alcuna revisione perché in essa davvero si riconosce la granissima parte degli italiani. Abbiamo pubblicato alcune delle loro critiche per segnalare quanto l’istintiva resistenza al cambiamento e alla novità alberghi anche negli animi più nobili e nelle personalità più sperimentate: e può indurre a giudizi superficiali e fuori misura, destinati ad essere smentiti.

Non si perdano dunque d’animo i riformatori se analogo trattamento è riservato da taluno (specie in ambito accademico, oltre che politico) al progetto varato dal Parlamento della XVII legislatura: è la sorte inevitabile che spetta a chi cerca di innovare e, inizialmente, ai primi frutti delle loro battaglie. Nel ’48 come nel 2016.

Diciannovesimo di una serie di approfondimenti. Qui si può leggere il primo, qui il secondo, qui il terzo, qui il quarto, qui il quinto,qui il sesto, qui il settimo, qui l’ottavo, qui il nono, qui il decimo, qui l’undicesimo, qui il dodicesimo, qui il tredicesimo, qui il quattordicesimo, qui il quindicesimo, qui il sedicesimo, qui il diciassettesimo, qui il diciottesimo. Qui si può leggere il testo completo.


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