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Coreis e Jrs, chi sono le associazioni musulmane e cattoliche firmatarie dell’appello all’Onu per i migranti

Mohammed Bin Zayed Bin Sultan Al-Nahyan e Papa Francesco

Sarà illustrata domani a New York – nella sede delle Nazioni Unite – in occasione della Giornata Internazionale della Pace. La Dichiarazione interreligiosa per migranti – pubblicata in anteprima da Formiche.net e sottoscritta dalla Comunità religiosa islamica italiana (Coreis) e dal Jesuit refugee service (Jrs) – sarà letta mercoledì 21 settembre al palazzo di vetro dell’Onu dall’Imam Yahya Pallavicini, che del Coreis è vicepresidente. Ma cosa fanno e quali obiettivi perseguono le due organizzazioni promotrici della dichiarazione?

UN PONTE PER IL DIALOGO

Il Coreis è l’associazione che rappresenta i musulmani con cittadinanza italiana, ormai oltre cinquantamila su un totale di oltre un milione e trecentomila persone di religione islamica residenti nel nostro Paese. Un’organizzazione – si legge sul sito internet – “di natura religiosa e culturale“, la cui mission comprende in particolare il dialogo interreligioso come “antidoto alla strumentalizzazione ideologica e mezzo privilegiato per il riconoscimento della validità delle altre religioni“.

IL CENTRO ASTALLI

L’altro soggetto che ha firmato il documento è il Jrs – il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati – la cui sede italiana è rappresentata dal Centro Astalli. L’obiettivo dell’organizzazione consiste nell’offrire “un servizio umano e pastorale ai rifugiati e alle comunità che li ospitano attraverso una vasta gamma di attività di reintegrazione e di assistenza“. Tra le finalità che persegue viene altresì menzionato “il dialogo con altre culture e religioni“: uno scopo che viene definito “intimamente legato alla missione della Compagnia di Gesù“.

L’IMPEGNO DEI GESUITI

Presente in oltre 50 Paesi, il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati – o Jesuit refugee service (Jrs) – è un’organizzazione cattolica che – si legge nella descrizione inglese – “è stata registrata come fondazione presso lo Stato Vaticano il 19 marzo del 2000“. Un’associazione, dunque, che agisce con il consenso o su mandato della Santa Sede e del Pontefice. Il presidente è il gesuita Padre Camillo Ripamonti, autentico punto di riferimento nel mondo dell’accoglienza e dell’assistenza ai migranti.

L’IMPRONTA DI BERGOGLIO

Un po’ quello che si pensa sia avvenuto con la lettera sui migranti pubblicata in anteprima da Formiche.net che sarà letta domani all’Onu. Il documento – che si risolve in “un appello alla comunità internazionale affinché sia condivisa la responsabilità di dare protezione alle persone in fuga dalle proprie case, per assicurare buone condizioni di accoglienza e la possibilità di usufruire, nel momento dell’arrivo, di servizi adeguati ed accessibili” – contiene, infatti, anche alcune indicazioni in materia di rapporti tra religioni tipiche del pensiero di Papa Francesco. Una, in particolare, la frase rivelatrice dell’impronta bergogliana sul documento: “L’odio per il credo religioso dell’altro, che si risolve in persecuzione e violenza, deve terminare“. Stop, dunque, a ogni forma di persecuzione perpetrata contro i cristiani soprattutto in medio oriente, ma basta anche a qualsiasi tipo di attacco, anche verbale, nei confronti tra i musulmani. In quest’ottica, il dialogo interreligioso e il comune rispetto, ad esempio, non consentono che si possano minimamente accomunare le violenze dell’Isis alla religione islamica. “Non esiste un dio della guerra, quello che vuole la guerra è il diavolo che vuole uccidere tutti“, ha detto oggi, a tal proposito, il Santo Padre a Sete di Pace, la tre giorni sul dialogo interreligioso promossa ad Assisi dalla Comunità di Sant’Egidio.

LA DEFINIZIONE DI RIFUGIATO

A questo riguardo, è da sottolineare come il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati applichi una definizione di rifugiato estensiva rispetto a quella delle convenzioni internazionali, ritenuta al contrario troppo restrittiva. In tale definizione – si può leggere online – sono comprese “tutte le persone perseguitate per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o politico; le vittime di conflitti armati, di una politica economica errata o dei disastri naturali; e, per ragioni umanitarie, gli sfollati interni, ovvero i civili che “sono strappati con la forza dalle loro case dallo stesso tipo di violenza che coinvolge i rifugiati ma che non attraversano le frontiere nazionali“.

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