Non è stato un bel battesimo quello ricevuto dalla Nota di aggiornamento del Def nell’Aula delle Commissioni bilancio. I dubbi degli auditi – dalla Banca d’Italia, alla Corte dei conti, dall’Ufficio parlamentare del bilancio all’Istat – sono risuonati in quell’ambiente dagli arredi ipertecnologici, generando imbarazzo tra i supporter del governo. Né ha tranquillizzato la risposta del ministro dell’economia.
Inizia quindi in salita la manovra di Matteo Renzi alla ricerca spasmodica di quel consenso, che gli serve per vincere il referendum. I dubbi italiani si sommano a quelli che trapelano, sempre con maggiore insistenza, da Bruxelles. Ed insieme fanno massa. Ossia si rafforzano a vicenda. Dopo le critiche del fronte interno, sarà più difficile per gli eurocrati chiudere gli occhi. E far finta che le promesse della nuova “legge di bilancio” possano materializzare quel miracolo che le pagine del documento vorrebbero far intravedere.
La difesa d’ufficio del governo è una debole linea Maginot. Le critiche avanzate – si replica – sottostimano il carattere espansivo della manovra che porterà la crescita complessiva dallo 0,6 all’1 per cento. Grazie a un’ulteriore iniezione di liquidità, che sarà fornita da un extra deficit di 0,4 punti di Pil. Dove, tuttavia, quel rapporto “one to one” – un punto di crescita del deficit, un punto di crescita dell’economia – non sembra esistere in natura. Né tanto meno nei trattati di economia.
Sarà come sarà. Filosofia che riecheggia anche nelle parole del premier: intanto votate per me. Apocalittici contro integrati: come si diceva una volta. Gufi contro volpi: nel linguaggio meno nobile della politica urlata. Ma sul passato più recente dell’economia e della finanza pubblica italiana vi sono dati meno evanescenti delle pur necessarie previsioni. Ed è già in questo campo le contraddizioni non mancano.
Guardiamo all’anno che ancora non è trascorso. Il governo promette una crescita dello 0.8 per cento. Anche in questo caso l’obiettivo sembra “ambizioso”. Come ha chiosato il rappresentante della Banca d’Italia per l’anno che verrà. A questo traguardo si dovrebbe giungere grazie ad una crescita della domanda interna dell’1,1 per cento. Ma nei primi sei mesi dell’anno è cresciuta solo dell’0,4. Ci sarà un rush finale? Al momento i consumi ristagnano. Come certificato dall’Istat, le famiglie preferiscono risparmiare, astenendosi dai riti dello shopping.
Per gli investimenti la musica non cambia. Un solo dato. Quelli in mezzi di trasporto, secondo la previsione del governo, dovrebbero crescere del 24,6 per cento. Nei primi 9 mesi dell’anno ci si è attestati sul 17,4 per cento. Buchi su buchi. Ma il dato più paradossale è quello dell’inflazione. Il governo scommette su una crescita – il cosiddetto deflatore del Pil – dell’1 per cento. Fosse vero. Ed invece siamo in piena deflazione.
Sommate tra di loro questi diversi elementi e tirate una linea. Quel tasso di crescita, in termini nominali, dell’1,8 per cento è più un miraggio che non una realtà. La manovra del governo, in altri termini, appare costruita su un pavimento traballante. E se crollano le fondamenta è tutto l’edificio sovrastante a venire giù.