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Cosa succederà al Pd se vince il Sì e se vince il No al referendum

All’indomani del 4 dicembre, data del referendum, non vi sarà alcuna catastrofe. Questa almeno la previsione più seria, ma cambiamenti significativi certamente. Alcuni di più lungo periodo. Altri immediati. Aver eventualmente cambiato la Costituzione vigente sarà solo il primo passo. Per darle attuazione ci vorrà tempo. A partire dalle leggi ordinarie che dovranno interpretare principi non sempre chiari ed univoci. Del resto a distanza di oltre 60 anni sono ancora molte le norme della vecchia Costituzione del 1948 che devono trovare piena attuazione.

Occupiamoci quindi del domani immediato, piuttosto che del lontano avvenire. Sarà del resto quel domani a dirci se nel tempo successivo vi sarà sereno o burrasca. L’esercizio previsionale è delicato. Si tratta di ipotizzare i due distinti scenari politici: nel caso che vinca il Sì o prevalga il No. Con la necessaria premessa che tutto, in prospettiva, può cambiare. La realtà è sempre più imprevedibile di qualsiasi immaginazione.

Ammettiamo che vinca il Sì. Probabilmente la legge elettorale rimarrà l’Italicum. Renzi la considera la “più bella del mondo”. E al vincitore non si può chiedere di sacrificare il figlio prediletto. Protesteranno gli uomini della ditta – vale a dire la sinistra del PD – ma con scarsi risultati. Votando No hanno perso la partita e la loro stessa esistenza, come forza politica, resta affidata alla benevolenza del capo. Premeranno nella stessa direzione i centristi: Alfano, Verdini & co. Ma per loro si apre anche la prospettiva di governo, nell’inevitabile rimpasto che seguirà il voto. Rimane la Corte costituzionale. Ma ne può stravolgere la portata dopo un voto popolare destinato a definire i cardini della Costituzione non solo scritta, ma “materiale”, del domani?

Andremo di conseguenza al voto con l’Italicum. Ma come si configurerà il Pd? Nelle liste vi saranno gli uomini di Bersani o di Alfano: a partire dalla Lorenzin? Nel frattempo la composizione del Governo sarà cambiata, con l’allargamento verso il centro. Mentre alla sinistra del Pd non rimarrà che il solito mugugno. Ma nessuna scissione, come più volte ha affermato lo stesso Bersani. Chi ne risulterà avvantaggiato sarà indubbiamente il Movimento 5 Stelle. Il più favorito nel ballottaggio tra i due partiti più votati. Su suoi candidati, com’è avvenuto sia a Roma che a Torino, convergeranno i voti dello schieramento degli scontenti.

Lo scenario è molto diverso se vincerà il No. Questa volta sarà il vecchio gruppo dirigente del Pd a conquistare il partito, sottraendo a Renzi lo scettro del comando. Già oggi la virulenza è tale da non potersi addebitare a vecchi personalismi. La strategia è invece chiara. Se Renzi perde il referendum, perde anche il partito. E la scissione questa volta ci sarà. Ma sarà a sinistra, con la messa al bando dei velleitari “rottamatori”. Che, se vogliono continuare ad esercitare un ruolo, dovranno unirsi alle altre forze centriste. Nascerà così una sorta di galassia che ricorda da vicino il pentapartito di una volta. E che sarà rifugio di nobili culture politiche: cattolica, socialista, liberale e via dicendo.

Con il voto verrà meno anche l’Italicum. Si dovrà pertanto approvare una nuova legge elettorale, che non potrà che riflettere, con le necessarie mediazioni, le posizioni politiche dei vincitori. Dalla sinistra Pd fino alla destra della Meloni. La configurazione del sistema politico italiano sarà data da una sinistra laburista – gli ex Pci- da un centro a geometria variabile – da Renzi a Berlusconi – da una destra populista – Salvini e Meloni – e da Grillo che cercherà comunque di sparigliare, non essendo disponibile ad alcuna alleanza. Comunque sia la parola tornerà agli elettori, che sceglieranno la proposta politica più confacente.

Scenari opposti, come si vede. Densi di significati politici e logiche di potere. Il che spiega la ferocia dello scontro, segnato dalla durezza e dalla determinazione dei protagonisti. Nulla a che vedere con quanto avvenne in passato: quando il popolo fu chiamato a pronunciarsi sulla riforma costituzionale proposta da Silvio Berlusconi.

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