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Ecco gli ultimi sgambetti della Lega di Matteo Salvini a Stefano Parisi

Matteo Salvini, Lega

Se non fosse stata confermata da Stefano Parisi in persona, e completata anche di qualche particolare in una lunga intervista a Paola Sacchi per il quotidiano Il Dubbio, sarebbe stata incredibile questa storia indicativa dello stato delle cose in quello che fu il centrodestra. E che Silvio Berlusconi spera ancora di riorganizzare, con l’aiuto proprio di Parisi, per evitare che l’unica alternativa a Matteo Renzi, specie in caso di vittoria del no al referendum sulla riforma costituzionale, rimanga o diventi quella di Beppe Grillo. Che all’ex presidente del Consiglio ricorda spesso persino Adolf Hitler, senza rinunciare tuttavia a fargli compagnia sul fronte del no referendario.

Oltre che mancato sindaco di Milano, ma per un soffio, e uomo individuato da Berlusconi come quello adatto a risolvere problemi, sia nella sua Forza Italia sia nella coalizione che gli permise di vincere le elezioni politiche nel 1994, nel 2001 e nel 2008, e di sfiorare la rivincita nel 2006 e nel 2013, Stefano Parisi è un apprezzato imprenditore.

Con la sua società “Chili Tv” egli ha partecipato ad una gara per aggiudicarsi un finanziamento congiunto dell’Unione Europea e della Regione Lombardia nei settori della tecnologia e dell’occupazione. Pur classificatosi al secondo posto, egli è finito al trentunesimo, perdendo quindi l’occasione che riteneva di avere conquistato.

Anche se strano, scendere così tanto e così presto, può succedere. Ma è difficile che una cosa del genere accada nel mezzo di una riunione di giunta regionale interrotta da una telefonata politica, come invece Stefano Parisi ha raccontato sia avvenuto, salvo smentita naturalmente. Che però dovrebbe riguardare anche la personalità politica da lui indicata: il segretario della Lega Matteo Salvini. Il segretario cioè del partito di appartenenza dell’ex ministro dell’Interno Roberto Maroni, presidente adesso della giunta regionale del Pirellone ambrosiano.

Per combinazione, La Lega è anche il partito che rivendica, in trasparente concorrenza, motivata con i voti che raccoglie nei sondaggi e nei territori, la leadership del centrodestra della cui riorganizzazione Parisi è stato incaricato da Berlusconi dicendo che una nuova edizione delle coalizioni già sperimentate in passato deve avere una fisionomia “moderata” per avere qualche seria possibilità di vincere la partita con Matteo Renzi o chiunque altro. Una fisionomia che Berlusconi e Parisi non vedono nel segretario leghista anche per i suoi rapporti o riferimenti con il lepenismo francese.

Laconico e duro è stato naturalmente il commento dell’interessato all’accaduto, convinto, non so francamente se a torto o a ragione, che sia stato Salvini in persona a chiedere e ottenere “il blocco” della gara che lo riguardava: “Credo – ha detto testualmente Parisi – che sia stato un intervento abbastanza improprio. E contrario al funzionamento delle istituzioni perché il leader di un partito è un privato cittadino e non può interferire nelle attività di un governo istituzionale. Penso sia molto grave”.

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Non vanno meglio le cose, in compenso, nel centrosinistra di Matteo Renzi, anche se i critici e gli avversari interni del presidente del Consiglio stentano a considerare di sinistra il loro segretario e lo vedono come una specie di infiltrato della destra nell’ultimo stadio comune delle evoluzioni anagrafiche del Pci e della Democrazia Cristiana.

Nella commissione incaricata dalla direzione del Pd di trovare una proposta condivisa di modifica della legge elettorale della Camera da sottoporre agli altri partiti, e da presentare alla stessa Camera o al Senato magari anche prima del referendum costituzionale del 4 dicembre, ma da discutere dopo, Gianni Cuperlo come rappresentante delle minoranze sta incontrando grandi difficoltà. Che non gli vengono però tanto dalla maggioranza, costituita dal presidente del partito, dai capigruppo parlamentari e dal vice segretario Lorenzo Guerini, che Renzi chiama affettuosamente Arnaldo paragonandolo a Forlani, anche se lui proviene dalla storia della corrente democristiana di Giulio Andreotti, quanto dalla minoranza di Pier Luigi Bersani e Roberto Speranza. I cui messaggeri si fanno sentire un giorno sì e l’altro pure da Cuperlo per ammonirlo a non accontentarsi di un accordicchio, di un compromesso debole, adatto più a certificare l’ennesima spaccatura fra gli avversari del segretario che a risolvere il contenzioso.

Ormai il grosso delle minoranze del Pd è schierato sul fronte referendario del no, fermo peraltro ai sondaggi che lo danno in vantaggio, anche se Renzi è convinto che il sì sia in recupero, ed ancor più lo sarà col passare dei giorni e con l’aumento ulteriore della sua forte partecipazione alla campagna referendaria. A favorire la quale egli ritiene, peraltro, che possa contribuire anche il piglio col quale si muove a livello europeo e mondiale, specie dopo gli incoraggiamenti avuti alla Casa Bianca dal presidente pur uscente degli Stati Uniti.

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Nel crescente attivismo internazionale del presidente del Consiglio, appena espostosi anche con un duro giudizio conto l’astensione della diplomazia italiana nell’ultima votazione all’Unesco, giustamente contestatissima da Israele per l’attribuzione del Muro del Pianto, a Gerusalemme, alla tradizione palestinese più che ebraica, Giuliano Ferrara ha appena indicato sul Foglio una buona occasione per compiacersi del suo già “Royal baby”. Egli ha scritto, sulla falsariga dei vangeli natalizi su Gesù, di un “ragazzo parecchio cresciuto a Palazzo Chigi”.

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