E’ stato il più duro nel commentare l’ultimo capitolo dell’interminabile libro delle polemiche tra Matteo Renzi e la sinistra Dem. Il più netto nel ricordare la miriade di posizionamenti tattici che – nel corso degli anni, a seconda delle circostanze e delle convenienze – sono stati assunti dai diversi esponenti Pd sul tema della legge elettorale. Il più determinato nel chiedere che il partito assuma una decisione definitiva e vi tenga fede senza cambiare continuamente idea. Nella direzione nazionale di ieri Roberto Giachetti non ha usato giri di parole: 12 minuti di intervento (qui il video sul sito de L’Unità) nel corso dei quali ha messo alla berlina tutte le oscillazioni della minoranza in materia di legge elettorale.
IL NODO PREFERENZE
La questione su cui si è accalorato di più sono le preferenze. “Amici miei, avete delle oscillazioni imbarazzanti“, ha tuonato rivolto ai rappresentanti della sinistra del partito. Giachetti ha innanzitutto ricordato quando il centrodestra – nella scorsa legislatura – propose di inserirle nel porcellum: “Ci fu un’alzata di scudi da parte dei leader di allora: si disse che avrebbero riportato a Tangentopoli“. Atteggiamento che è cambiato – ha fatto presente ancora il vicepresidente della Camera – quando si è iniziato discutere della nuova legge elettorale. E che si è modificato, di nuovo, in queste settimane di campagna referendaria: “Quando c’era la possibilità di mettere le preferenze, abbiamo risposto che volevamo i collegi uninominali. Appena c’è stata nel 2013 la possibilità di prevedere i collegi uninominali, è stata chiesta l’introduzione delle preferenze. Adesso che abbiamo ristabilito le preferenze, esce fuori il mattarellum 2.0., ossia i collegi uninominali. E giriamo, giriamo, giriamo…“.
UN PARTITO CHE FATICA A DECIDERE
Giachetti ha quindi polemizzato sulla tendenza a rimettere continuamente in discussione le posizioni già assunte. Anche quando queste si siano formate sulla base di precisi indirizzi stabiliti in sede di partito, poi votati in ambito parlamentare: “Sembra che l’Italicum arrivi fresco fresco oggi per la discussione iniziale. Come se non ce ne fossimo mai occupati prima. Come se la minoranza ne apprendesse per la prima volta il testo“. Secondo l’ex candidato a sindaco di Roma, è come se le dinamiche interne al Pd attraversassero un continuo corto circuito: da un lato il costante tentativo di cercare un compromesso da parte della segreteria, dall’altro il perenne rialzo da parte della minoranza rispetto a qualunque accordo sia stato trovato.
IL COMPRESSO SULL’ITALICUM
Un canovaccio – ha evidenziato Giachetti – che si è esattamente ripetuto in occasione del dibattito sull’Italicum che “è molto diverso da quello inizialmente voluto da Renzi“. Cambiamenti – ha evidenziato – che sono stati introdotti “sulla base delle indicazioni arrivate dalla direzione Pd e dal Parlamento“. A tal proposito, l’ex esponente della Margherita ha ricordato come siano state accolte nel corso delle varie discussioni molte delle proposte arrivate dalla minoranza Dem: “Sono state parzialmente introdotte le preferenze e abbassate le soglie di sbarramento dal 4,5% al 3%. Quest’ultimo era considerato un punto nodale: me lo ricordo quando lo statista D’Attorre (poi passato in Sinistra Italiana) ci indicava la strada. E, inoltre, è stata anche alzata la soglia per cui era richiesto il ballottaggio: dal 35% del Nazareno al 37% del suo arrivo in aula, fino al 40% deciso in virtù delle richieste giunte dalla direzione Pd“. Alla luce di queste modifiche – ha sottolineato ancora Giachetti – “fatico a capire oggi quale sia l’oggetto del contendere. Non capisco cosa ci sia che non vada con l’Italicum“.
IL PATTO DEL NAZARENO E DINTORNI
Durante il suo intervento Giachetti ha anche ripercorso una pezzo della storia recente dei rapporti tra centrosinistra e centrodestra a proposito delle riforme istituzionali: la reazione di scherno della minoranza Pd al Patto del Nazareno con Berlusconi, ma anche il famoso “patto della crostata” tra Massimo D’Alema e il Cavaliere nel 1997 sulla bicamerale poi fallita. “Quando si è parlato ufficialmente c’è chi ha detto che schifo. Era molto meglio quando si parlava a casa di Gianni Letta, almeno nessuno vedeva…“. Accuse di incoerenza che poi ha rivolto anche a Pierluigi Bersani per le polemiche sul sostegno alle riforme renziane da parte di Denis Verdini: “Bersani si ricorderà sicuramente quando nel 2012 – durante il governo Monti – Verdini si occupava con Migliavacca di riformare la proposta elettorale. Quel Verdini è lo stesso di oggi. Solo che all’epoca era considerato un proficuo collaboratore per trovare una soluzione“.
L’ACCUSA FINALE
Un discorso, il suo, che nella battute conclusive si è fatto ancora più duro nei toni e nei contenuti. “Qual è il punto finale?“, ha chiesto più volte agli altri membri della direzione Pd. “Qual è la nostro proposta? Quand’è che faremo una scelta e poi la rispetteremo?“, ha aggiunto ancora: “Questa legge l’avevamo scelta, l’avevamo deliberata, l’avevamo votata“. E ancora, di fronte ai sorrisi di qualcuno dei presenti: “Non è una barzelletta, è la storia della vita democratica di questo partito. Ogni volta che prendiamo una decisione, poi viene rimessa in discussione. Diteci semplicemente quando finisce“. E, infine, l’ultima stoccata a Bersani per l’intervista al Corriere della Sera in cui ha annunciato – prima della riunione della direzione – il suo No al referendum. “Quand’è che potremo dire di avere la posizione del Pd? Perché la posizione del Pd – me lo avete insegnato voi quando ero in minoranza – si prende qui e non sui giornali“.