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Il regime di Kim Jong Un rischia il collasso (è una buona notizia?)

hanoi

Il 10 ottobre i satelliti spia di tutto il mondo si sono dati appuntamento sopra la Corea del Nord. Tutti gli analisti avevano scommesso che proprio lunedì scorso sarebbe stato lanciato un missile balistico sperimentale oppure che si sarebbe svolto un altro test nucleare sotterraneo. Ma…

C’era da scommetterci: il regime nord coreano ha l’abitudine di festeggiare così le date importanti, e il 10 cadeva l’anniversario della fondazione del Partito Nord Coreano dei Lavoratori. Per lo stesso motivo, lo stesso giorno era anche il decimo anniversario dell’inizio del programma nucleare bellico nordcoreano. Infine, sempre quel lunedì si sarebbe svolto il secondo dibattito fra i due candidati alla presidenza Usa: era un’ottima occasione per distogliere l’attenzione del mondo dalle lettere di Hillary o dalle dichiarazioni dei redditi di Donald.

Kim Jong Un sta investendo sul programma nucleare e missilistico la maggior parte delle risorse economiche del Paese. Da quando ha ereditato la guida della Corea del Nord alla fine del 2011, ha ordinato 49 test missilistici (di cui 21 solo nel 2016) e 3 test nucleari (2 quest’anno). In confronto, il padre Kim Jong Il ha condotto solo 26 test missilistici e 2 test nucleari in tutti i suoi 17 anni di governo.

A sostanziare le teorie, nei giorni precedenti sono stati registrati frenetici movimenti in tutti e tre i tunnel di accesso che portano alla base nucleare sperimentale di Punggye-ri. Negli stessi giorni, brulicava di attività anche il poligono di lancio di missili sperimentali a lungo raggio di Sohae: numerosi mezzi caricavano e scaricavano contenitori attorno alla piattaforma di lancio, autocisterne si avvicendavano accanto ai bunker che contengono propellenti e ossidanti ed all’infrastruttura per il test dei motori.

Per una volta, sia chi scommetteva sul test nucleare che chi puntava sul lancio di un missile è rimasto deluso. Kim Jong Un ci ha sorpreso ancora una volta: non è successo niente. Cerchiamo di capire perché.

Alla fine di settembre un tifone ha colpito i villaggi vicino al fiume Tumen (lungo il confine con Cina e Russia). Ha provocato un numero imprecisato di vittime ma si stima che oltre 600mila persone siano rimaste colpite e almeno 70mila siano rimaste senza casa in una regione dove gli inverni sono particolarmente rigidi.

L’inondazione ha distrutto anche 30mila ettari di colture prossime al raccolto aggravando la crisi agricola che da anni attanaglia il Paese. La crisi alimentare risulta ormai endemica: anche le foto ufficiali mostrano una grottesca asimmetria fra l’opulento leader supremo e gli scheletrici ufficiali, soldati e civili che lo circondano festanti.

Inoltre, sembra che il regime incontri crescenti difficoltà nel tenere sotto controllo il malcontento popolare nonostante il controllo totale dei mass media e l’assenza di social media (in Corea del Nord esistono solo 28 domini Internet, tutti sotto chiave).

Dopo i primi anni spesi a farsi fotografare in giro per tutto il Paese, da mesi il leader nordcoreano sembra non voler più visitare basi militari (incluse le infrastrutture missilistiche e nucleari), così come fabbriche e fattorie modello. Le rare uscite pubbliche lo mostrano sempre a poca distanza dalla capitale Pyongyang e risulta sempre circondato da convogli di soldati che setacciano in anticipo tutti i luoghi a cui si recherà.

Per questo non si è nemmeno avvicinato alle regioni colpite dall’alluvione, inclusa la città natale di sua nonna a Hoeryong. Le organizzazioni umanitarie segnalano che in quelle aree ha inviato più soldati armati che aiuti medici e alimentari.

Le frontiere con l’odiata Corea del Sud risultano, se possibile, ancora più militarizzate da quando la presidente Park Geun-hye ha invitato esplicitamente i cittadini del Nord a scavalcare i reticolati e a farsi accogliere “nel seno della libertà” dai cugini meridionali. Ma un centinaio di residenti nelle zone disastrate attorno al fiume Tumen hanno invece approfittato della confusione per raggiungere l’altra sponda e fuggire in Cina, formalmente ancora alleata di Pyongyang ma sempre più in imbarazzata dalla politica del giovane leader.

Un altro fattore che deve aver influenzato la scelta di mantenere sotto traccia questo anniversario può essere stata l’esercitazione “Spirito Invincibile 2016” che si è svolta proprio in quei giorni nei due mari che delimitano la penisola coreana. Qui una esercitazione congiunta americana e sud coreana ha messo in campo davanti alle coste oltre 50 navi da guerra; fra queste la portaerei nucleare di classe Nimitz USS Ronald Reagan, cacciatorpediniere antiaerei classe Re Sejong Il Grande, sottomarini e incrociatori lanciamissili di entrambi i Paesi.

Può anche darsi che qualcosa abbia fatto cilecca e tutto sia stato messo a tacere. Non sarebbe strano, visto l’incredibile dilettantismo dimostrato fino ad ora sia negli esperimenti nucleari che in quelli missilistici.

Tutto questo non deve fare sperare che il programma missilistico e nucleare bellico nordcoreano sia stato fermato. Certamente i test ricominceranno presto e si prevede che manterranno l’usuale frequenza accelerata, con un intervallo così breve fra un esperimento e l’altro da rendere evidente che gli scienziati del regime non avranno tempo di analizzare i risultati di un test prima che debba aver luogo quello successivo secondo le scadenze del copione stabilito dal leader supremo.

In conclusione, il regime della Corea del Nord sta attraversando un momento di profonda crisi internazionale ed anche interna. Il Paese ha attraversato momenti ben peggiori durante la guerra con la Corea del Sud e gli Stati Uniti e poi negli anni della guerra fredda, ma allora a guidarlo erano il leggendario Kim Il Sung e poi il diplomatico Kim Jong Il, non certo un ragazzotto obeso con delirio di onnipotenza. Aspettiamo la sua prossima mossa.

 



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