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Perché Renzi ha passato il cerino dell’Italicum nella mani di Bersani, Cuperlo e Speranza. Parla Caldarola

Matteo Renzi ha acceso un cerino e lo ha messo nelle mani della sinistra Pd. Che a questo punto rischia di bruciarsi“. Non ha dubbi Peppino Caldarola: secondo l’ex direttore de L’Unità – con un passato in politica nel Pci e nei Ds, oggi impegnato al fianco del governatore della Toscana Enrico Rossi in vista del futuro congresso Pd – la direzione nazionale di ieri del Partito Democratico si è conclusa con una sostanziale apertura da parte del presidente del Consiglio. “Ha confermato che l’Italicum gli piace così com’è, ma ha fatto capire chiaramente che – pur di avere l’appoggio della minoranza – è pronto a modificarlo largamente“. Una disponibilità – afferma Caldarola in questa conversazione con Formiche.net – che si traduce “in un guaio per la sinistra Pd. Visto che aveva impostato tutta la sua strategia sulla modifica della legge elettorale, adesso ha solo due strade possibili di fronte: o si fida di Renzi – e quindi deve votare Sì al referendum – oppure dice che il premier è inaffidabile. Ma se pensi che il tuo segretario è inaffidabile o lo cacci o esci dal partito“.

Renzi non avrebbe dovuto avviare prima le trattative per la modifica dell’Italicum? 

Quello che conta ormai è la disponibilità a modificarlo. E’ chiaro, però, che non si possa fare in questi cinquanta giorni che mancano al referendum costituzionale e che si debba rimandare tutto a dopo il 4 dicembre. Ciò per alcuni motivi essenziali: perché non c’è tempo e perché manca qualsiasi accordo con gli altri partiti, in particolar modo con gli alleati di governo e con Forza Italia, che ha comunque votato l’Italicum. E, infine, perché non sarebbe corretto cambiare la legge elettorale a 60 giorni dalla pronuncia della Corte Costituzionale: una dovuta cortesia istituzionale impone di attendere la decisione della Consulta prima di intervenire.

Dagli interventi di ieri nel corso della direzione è sembrato che la sinistra Pd non fosse però soddisfatta dell’apertura di Renzi. Perché?

Con tutta la simpatia umana per Gianni Cuperlo e Roberto Speranza mi chiedo onestamente che cosa potesse accadere di più ieri. Renzi avrebbe dovuto presentarsi con un progetto di legge elettorale completamente nuovo? E se glielo avessero impallinato nella direzione? E poi che senso avrebbe per il Pd presentare un suo progetto di legge senza coordinarsi con altre forze politiche?

Ma non è che la sinistra Pd questa apertura quasi quasi non la voleva?

Forse sperava, o si immaginava, che Renzi dicesse no alla riforma dell’Italicum o che comunque ponesse limiti e paletti alla sua modifica. Ma ciò non è accaduto. Anzi, il presidente del Consiglio ha detto che da oggi del tema si occuperà soltanto l’apposita commissione istituita dal partito e si è pure detto disponibile a inserirvi due membri della minoranza e non uno solo come previsto all’inizio.

Renzi ha tolto alibi alla sinistra Pd?

Sostanzialmente sì. Lo ripeto: il cerino è letteralmente nelle mani della sinistra, che può anche decidere di votare No al referendum. Ma è chiaro che in questo caso non dipenderà dall’Italicum. Fino all’intervista al Corriere della Sera di Bersani, infatti, la questione fondamentale era rappresentata dal famoso combinato disposto di riforma costituzionale e legge elettorale. Quel nodo però è stato sciolto da Renzi.

Cosa farà ora la sinistra Pd?

Si è infilata in un vicolo cieco dal quale non riesco a capire come riuscirà a tirarsi fuori. Le sue richieste sono state nei limiti del possibile accolte. Ora potranno spiegare il suo eventuale voto negativo al referendum solo ammettendo che deriva dalla mancanza di simpatia e di fiducia nei confronti di Renzi e del suo Governo. Il presidente del Consiglio ha addirittura affermato di poter rinunciare – controvoglia – al ballottaggio. Dal punto di visto della trattativa gli esponenti della sinistra dem non possono chiedere altro.

Ci sono ancora le ragioni minime perché Renzi e la sinistra Pd continuino a far parte dello stesso partito?

Dipenderà molto da come andranno questi 50 giorni: dal grado di conflittualità che si raggiungerà tra le parti e dall’asprezza del reciproco e continuo scambio di colpi. Bernie Sanders non ha mai messo in discussione la sua permanenza nel Partito Democratico americano malgrado la vittoria alle primarie di Hillary Clinton, contro la quale aveva detto di tutto e di più. Anzi, ora è in prima linea affinché la candidata dei democratici possa prevalere. Renzi – come ha fatto ieri sera – deve abbandonare i suoi comportamenti da guascone e rinunciare a qualche battuta di troppo. La sinistra Pd, dal canto suo, non può più alzare l’asticella e, una volta superato l’ostacolo, scoprire che ce n’è un altro subito dopo: politicamente non è una cosa seria.

Come si fa a spiegare il No al referendum su una legge che si è votata?

E’ molto difficile spiegarlo all’opinione pubblica. Ed è ancora più complicato raccontare a chi ha una storia di sinistra che si è contro la fine del bicameralismo perfetto: è stato un tema praticamente esclusivo del Partito Comunista, mentre la Democrazia Cristiana era favorevole al suo mantenimento. Il nostro mondo sa perfettamente che un diverso destino del Senato era stato indicato da noi addirittura prima che Renzi nascesse.

Perché Renzi ha aperto sull’Italicum? 

Certamente ha paura di perdere il referendum, però – anche se dovesse accadere ciò – si annetterebbe comunque tutti i voti del Sì che supereranno largamente il 40%. Questi voti avrebbero in Renzi l’unica rappresentanza, mentre il bottino dell’eventuale No vincente dovrebbe comunque essere spartito tra dieci partiti. Il vero timore di Renzi, però, a mio avviso, è un altro.

E quale?

La scissione. Se tutta la componente Ds dovesse lasciare il Pd, il partito cambierebbe natura. Renzi magari ha anche una vocazione centrista, però ha bisogno di avere dentro la sinistra. Il suo terrore è di essere schiacciato troppo al centro. E’ un cambiamento non di poco conto perché fino a sei mesi fa la scissione sembrava quasi augurarsela. Come a dire: “Sono dei rompiscatole, se ne andassero“. Adesso c’è stato come un soprassalto di saggezza che lo porta ad affermare: “Speriamo che non se ne vadano“.


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