“Amatrice è figlia dell’Aquila e le scosse di mercoledì sono figlie di Amatrice”. Il terremoto che ha colpito Marche e Umbria il 28 ottobre è collegato con gli ultimi sismi avvenuti sempre nel centro Italia negli scorsi mesi e anni. Lo spiega il direttore dell’Istituto Nazionale di geologia e vulcanologia (Ingv) Carlo Doglioni (nella foto), secondo cui quello che sta succedendo negli Appennini è che fette di crosta terrestre “cadono” per effetto della gravità, provocando i terremoti.
IL TERREMOTO DI MERCOLEDÌ
Il terremoto di mercoledì non era”inatteso”, spiega ancora Doglioni intervistato da Repubblica, ed è per questo che Protezione Civile e Ingv sono riusciti a intervenire tempestivamente. Quello che è successo è che “un pezzo di crosta terrestre lungo 17 -18 chilometri, largo 10 e profondo 9 è caduto di poco più di mezzo metro. Le dimensioni della faglia che si è rotta sono di poco inferiori rispetto al sisma di Amatrice, l’energia rilasciata circa la metà”. Il distacco della parte di crosta terrestre avvenuto mercoledì, quindi, non ha stupito l’Ingv, che aveva ipotizzato la sua caduta già nelle scorse settimane. Ci saranno nuove scosse, sostiene Doglioni, e l’instabilità “durerà settimane, come sempre avviene in sismi di questo tipo”.
GRAVIMOTI O SISMI ESTENSIONALI
Questi ultimi eventi sismici avvenuti in Italia, precisa il presidente di Ingv, si chiamano sismi estensionali o gravimoti. “Per i sismologi e gli ingegneri i terremoti sono tutti uguali. Ma non è così. I sismi estensionali, come quelli di oggi, andrebbero chiamati gravimoti. Si tratta di fette di crosta terrestre che cadono per la sola gravità. Tanto semplici da capire quanto distruttivi”. “I danni in questo caso sono enormi – spiega Doglioni – e le repliche possono durare mesi, perché la crosta va in direzione della forza di gravità e non incontra resistenza”.
PROSPETTIVE FUTURE
Lo sciame sismico “di sicuro continuerà per settimane e forse mesi”, sostiene Massimiliano Cocco dell’Ingv sentito dal Corriere della Sera. “È impossibile però dire come e per quanto tempo”. Per quanto sia prevedibile la possibilità di nuove scosse è infatti impossibile stabilire la quantità di energia che ancora deve essere rilasciata e in che modo gli ultimi terremoti si siano propagati in profondità. La situazione, però, viene tenuta sotto controllo attraverso la rete di rilevamento nazionale e, conclude Cocco, “nell’area interessata, inoltre, sono state aggiunte nuove strumentazioni temporanee per indagare quanto sta succedendo con maggiore dettaglio e capire l’anatomia delle strutture responsabili delle continue repliche”.
PREVEDERE I TERREMOTI
Al momento esistono le mappe della pericolosità sismica, che l’Ingv sta rivedendo, ma “la speranza è che in futuro si riesca anche a realizzare una carta della magnitudo massima che ci si può attendere in ogni zona d’Italia. Non esistono aree a rischio zero, ed è giusto che i cittadini siano informati del pericolo che corrono”. “Per ora – conclude il presidente Carlo Doglioni – non sappiamo prevedere il momento esatto in cui la crosta si romperà, ma fino a pochi anni fa non eravamo nemmeno in grado di curare molte malattie. Dire che non sapremo mai prevedere i terremoti è ascientifico. Dobbiamo capire il meccanismo con cui si verificano e monitorare i segnali giusti. I precursori esistono: dati satellitari, variazioni nella pressione dei fluidi, emissioni acustiche e altri. Dobbiamo avere il coraggio di studiarli”.