Peccato che Dario Fo non possa godersi lo spettacolo delle sue celebrazioni, a meno che non abbia felicemente scoperto che esiste davvero un al di là dove poter vedere che cosa succede quaggiù.
Marco Travaglio, che giustamente si vanta di averlo avuto fra gli amici e i lettori, ha dedicato al giullare targato per 19 anni Nobel un titolo rosso in prima pagina a caratteri di scatola per farlo partecipe della campagna elettorale che lo sta ossessionando: il referendum sulla riforma costituzionale. “Vota Fo”, ha gridato Il Fatto Quotidiano puntando sulla rima col No.
Che Dario Fo fosse contrario alla riforma costituzionale di Matteo Renzi non c’è dubbio. Che avesse intenzione di accorrere tra i primi alle urne del 4 dicembre per bocciare le regole in buona parte sostitutive di quelle “più belle del mondo”, e per di più capaci di rafforzare l’odiatissimo segretario del Pd e presidente del Consiglio, è altrettanto indubbio. Ma la sorte non glielo ha permesso. Vi ha provveduto in qualche modo Travaglio portando la salma dell’amico nella pur metaforica cabina elettorale più vicina, allestita al bisogno.
Neppure il Manifesto ha avuto la fantasia di arrivare a tanto, limitandosi a omaggiare il “maestro buffo” e a ricordare di averlo avuto “compagno di lotte e di risate”.
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A parte le solite esasperazioni di Travaglio, il giornale più rispettoso ed anche generoso con Dario Fo è stato quello fondato da Eugenio Scalfari: la Repubblica ora diretta da Mario Calabresi. Il quale generosamente, appunto, ha dimenticato e forse anche perdonato, come hanno fatto tanti parenti delle vittime del terrorismo, il contributo dato da Dario Fo all’assassinio di suo padre, nel 1972. Un contributo consistito nella sottoscrizione, con Eugenio Scalfari e altri 755 cosiddetti intellettuali, di un manifesto del 1971 che contestava la soluzione giudiziaria della morte per suicidio “attivo” dell’anarchico Giuseppe Pinelli. Che secondo quei signori sarebbe stato invece buttato giù nel 1969 dalla finestra dell’ufficio del commissario di Polizia Luigi Calabresi nel cortile della Questura di Milano, sicuramente con la copertura ma forse anche con la partecipazione dello stesso commissario, risultato invece assente negli accertamenti della Procura.
Il povero Pinelli, con cui peraltro il commissario aveva buoni rapporti personali, avendolo conosciuto e frequentato per il suo lavoro, era finito in Questura per essere interrogato sulla strage appena avvenuto nella Banca Nazionale dell’Agricoltura di Piazza Fontana.
Come figlio, che aveva solo due anni quando quelli di Lotta Continua, condannati poi in va definitiva, gli ammazzarono sotto casa il padre come se fosse un cane, Mario Calabresi ha tutto il diritto di dimenticare e anche perdonare, ripeto. Ma Luigi Calabresi non era solo suo padre, il papà dei suoi due fratelli e il marito di Gemma. Egli era anche un fedele e valido servitore dello Stato, di cui mi sentivo onorato e protetto come cittadino, per non parlare di una circostanza personale che ancora mi commuove. Ero nel 1968 il notista politico del Momento Sera, un quotidiano romano del pomeriggio allora diretto dall’indimenticabile Lucio de Caro, al quale Luigi Calabresi collaborava con articoli che faceva pubblicare con uno pseudonimo. Ebbene, l’idea di perdonare gli assassini di quell’uomo a me non è mai passata per la testa.
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Per quanto strumentalizzata anche dal ricordo di Dario Fo morto di fine naturalissima, non per omicidio, come capitò negli anni di piombo a tanti assassinati da gente che magari finiva in carcere e trovava il “soccorso rosso” proprio di Fo e di Franca Rame, la campagna referendaria sulla riforma costituzionale continua a dominare il dibattito politico. E anche a causare confusioni.
E’ accaduto persino al buon Antonio Polito sul Corriere della Sera di dolersi per il nuovo Senato di cui ancora non si conosce la legge ordinaria sul metodo di scelta dei consiglieri regionali che dovrebbero farne parte, “in conformità –dice il testo costituzionale- alle scelte espresse dagli elettori” per gli stessi consiglieri regionali. Ma la legge di attuazione di questa norma –anche dopo l’apertura fatta da Renzi alla doppia scheda, una per i consiglieri regionali e una per i senatori- non potrà essere incardinata, come si dice in gergo tecnico, e tanto meno approvata dal Parlamento prima della ratifica referendaria della riforma. Che, se fosse bocciata, non avrebbe chiaramente più bisogno di una legge di attuazione.
Il contributo più brillante alla campagna referendaria è venuto nelle ultime ore dall’imperdibile Sergio Staino. Che nella vignetta di giornata sull’Unità, ora da lui stesso diretta, ha espresso lo sconcerto per la situazione di Silvio Berlusconi.
Reduce dagli Stati Uniti, dove si è anche sottoposto a controlli sanitari, l’ex presidente del Consiglio curiosamente “cerca di riammalarsi” – fa dire Staino ai suoi personaggi – incontrandosi sul fronte del no col segretario leghista Matteo Salvini e con la sorella dei Fratelli d’Italia Giorgia Meloni.