Sale la tensione tra sindacati bancari e vertici degli istituti di credito. Da tempo, una parola risuona nell’aria più pesante che mai per chi lavora in banca: esuberi. Una parola che si spiega con il momento di crisi profonda che sta attraversando il settore del credito a livello globale e italiano in particolare, e per le innovazioni tecnologiche che rendono superflue molte delle filiali. Ma una parola (esuberi) che ai lavoratori, e ai sindacati, suona quanto mai dolorosa, non foss’altro perché in questi anni di sacrifici ne sono già stati chiesti loro tanti.
I COSTI DEL PERSONALE
In un recente studio del sindacato della Uilca, il segretario generale Massimo Masi afferma: “Pensare di migliorare i conti economici delle banche agendo sulla diminuzione dei costi, quali le spese del personale (-188 milioni) e le spese amministrative (-85 milioni) è una soluzione di breve periodo che rischia, se non adeguatamente inserita in una fase di riposizionamento strategico dell’istituto di credito, di peggiorare la qualità del servizio offerto alla clientela e di non aumentare i ricavi“. Secondo i calcoli del sindacato, i costi per il personale delle prime 11 maggiori banche italiane, nel periodo dal 30 giugno del 2015 al 30 giugno del 2016, sono scesi dell’1,8%, passando da 10,32 miliardi a 10,13 miliardi e diminuendo dunque, nel complesso, di 188 milioni, come sottolineato da Masi.
CHI HA TAGLIATO E CHI NO
Non tutti i gruppi, tuttavia, hanno ridotto i costi per il personale. Intesa Sanpaolo guidata da Carlo Messina (nella foto), per esempio, li ha visti crescere del 2,2%, la Popolare di Milano di una percentuale ancora maggiore, pari al 3,8%, il Credem del 2,7% e il Credito Valtellinese dell’1,1 per cento. Al contrario, Carige è l’unica ad avere tagliato i costi per il personale a doppia cifra, del 18,1%, mentre il Banco Popolare li ha visti scendere di quasi il 5%, Unicredit di poco più del 4% e Ubi del 2,4 per cento.
LO SCONTRO CON PENATI
Da un po’ di tempo a questa parte, si sta consumando un duro scontro tra i sindacati e i vertici bancari, proprio per la questione dei possibili nuovi esuberi che potrebbero essere annunciati. Ieri Federico Fubini, sul Corriere della Sera, riferiva del nuovo piano per la ristrutturazione e il rilancio delle due banche del nordest, Popolare di Vicenza e Veneto Banca. Il progetto sarebbe stato messo a punto da Alessandro Penati, patron di Atlante, il fondo che di recente è diventato primo azionista praticamente assoluto dei due istituti veneti sottoscrivendo quasi interamente i due aumenti di capitale (per un totale di circa 2,5 miliardi). Il fatto è che il piano passerebbe anche attraverso quelli che vengono definiti da Fubini “i primi veri e propri licenziamenti collettivi di personale bancario a tutti i livelli mai fatti in Italia“. Un’ipotesi che ha fatto infuriare i sindacati. “Al primo stormir di fronde – ha tuonato il segretario della Uilca Masi – sarà dichiarato lo sciopero generale della categoria, unitariamente agli altri sindacati“.
LA VERSIONE DI BANKITALIA
Proprio nei giorni scorsi, ad agitare lo spettro di esuberi e prepensionamenti nel comparto bancario è stato anche il direttore generale della Banca d’Italia, Salvatore Rossi, che ha dichiarato: “In non pochi casi saranno inevitabili interventi sul personale: si potranno utilizzare gli ammortizzatori sociali esistenti, ovvero il pensionamento anticipato finanziato dal fondo di solidarietà del settore per il quale è stato recentemente ampliata la possibilità di utilizzo; ma, se necessario, occorreranno interventi ad hoc“. Il problema è che le banche, sotto stress più che mai, hanno sempre meno risorse per finanziare i prepensionamenti e le uscite anticipate. Non a caso, negli ultimi tempi, non hanno fatto mistero di avere bisogno di un aiutino dallo Stato. Anche per questo, oltre che per il dossier Mps e il ruolo di Jp Morgan, molte grandi banche (in primis Intesa Sanpaolo e Unicredit) sono piuttosto sbuffanti nei confronti dell’esecutivo (qui la ricostruzione dei dossier in un articolo di Formiche.net).