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Vi racconto gli ultimi effetti nefasti del giustizialismo

Si può ancora distruggere una classe politica per via giudiziaria dopo circa trent’anni dall’avvio del “processo di bonifica” culminato negli effimeri trionfi di Mani pulite? Sembra di sì. Ma a differenza di allora, come a Berlino, ci sono giudici anche a Roma e a Torino per fortuna. E, nel contempo, per disgrazia di Ignazio Marino, di Roberto Cota, di Filippo Penati, di Gianni Alemanno e di quanti altri sono incappati nelle maglie della giustizia, non esiste la politica: in circa tre decenni non c’è stato governo o parlamento che sia stato capace di mettere un freno all’abuso manettaro che ha cancellato reputazioni e carriere.

Gli ultimi due sindaci di Roma, a prescindere dalle simpatie e dalla antipatie che hanno potuto suscitare con le loro amministrazioni, si sono visti precipitare all’inferno con accuse infamanti. Marino ne è uscito brillantemente; Alemanno si è visto togliere di dosso il mantello del “mafioso” restando imputato di illecito finanziamento e corruzione. Cota, ex-presidente della Regione Piemonte, non ha mai utilizzato fondi pubblici per comprarsi mutande verdi. Già, è caduto sulle mutande: non sappiamo se ridere o piangere. O preoccuparci per tutti quei cittadini che si vedono recapitare avvisi di garanzia, o neppure uno straccio di notifica (vogliamo credere per negligenza) e vengono ugualmente processati “a loro insaputa” e magari condannati.

Resta il fatto che la questione giustizia campeggia sul tavolo della politica e spesso e volentieri la politica stessa c’inzuppa il pane, come si dice, utilizzando provvedimenti giudiziari per togliersi di torno “amici” e “nemici” scomodi. Come Marino. Vittima due volte, e la seconda più grave della prima, quando si è visto togliere la fiducia dal suo partito, dal suo leader, dai suoi sodali che lo hanno brutalmente scaricato per regalare Roma a chi? Non lo sapevano neppure loro: l’hanno appreso nel giugno scorso e neppure un mea colpa si sono sentiti di pronunciare di fronte allo sconcio che avevano provocato.

Marino ha certamente tante responsabilità politiche, ma nessuno avrebbe dovuto buttarlo via, come inservibile e dannoso sindaco della Capitale, soltanto perché “dissonante” rispetto alle prospettive, immaginiamo meravigliose, di Renzi e Orfini, per il Pd romano la cui catastrofe elettorale ha certificato quanto valgono i reggitori del Nazareno.

Ha ragione Luciano Violante, come sempre lucido ed intellettualmente onesto (con buona pace di chi ha un’opinione diversa dell’ex-presidente della Camera) anche quando non si condividono le sue analisi, nel sostenere (intervista al Corriere della sera) quanto segue: “Io credo che stiamo assistendo alla sconfitta di quella che ho chiamato la ‘società giudiziaria’, una società di mezzo tra quella civile e politica, che comprende cittadini comuni, politici, mezzi di comunicazione e settori della magistratura. E che si basa sull’idea di fondo che la magistratura sia il grande tutore della vita pubblica. C’è una pericolosa subalternità della politica alla giustizia e insieme una furbesca utilizzazione della magistratura per attivare i conflitti interni al mondo politico”.

La diagnosi di Violante è interamente da sottoscrivere. Con una postilla. Eccola: la politica non può inseguire la magistratura su un terreno che non è il suo ed inchinarsi ad ogni atto di un qualsiasi pubblico ministero per compiacere quella parte, tutt’altro che marginale, di opinione pubblica “giacobinizzata” da anni dagli aizzatori di professione contro la cosiddetta “casta”. E quando le tricoteuses si trovano a corto di ghigliottinanti la politica non può dare in pasto alla vasta opinione che attende vendetta piuttosto che giustizia capri espiatori che plachino il sentimento di rabbia che alberga anche nei cittadini più miti per via delle responsabilità della politica stessa. Insomma, al fondo resta il cattivo rapporto tra poteri dello Stato che ha segnato l’ultimo trentennio di vita pubblica e privata per molti italiani scaraventati nel girone infernale dell’ignominia, salvo vedersi , senza alcuna pubblicità, “riabilitati” dalla magistratura giudicante.

Marino è “salvo”, non ha mai utilizzato la carta di credito del Comune per cene e pranzi privati. Cota non ha mai avuto nel suo guardaroba mutande verde acquistate con i soldi della Regione (che bizzarria pensarlo!). Penati non era nel quel “mostro” onnivoro e avido che hanno voluto presentarci. Alemanno con i clan mafiosi non ha avuto mai niente a che fare. Chi sono questi? Esseri umani o spazzatura? A noi contemporanei l’ardua sentenza. E la politica continui a compiacersi di girare attorno al nulla nel cattiverio della “subalternità”.


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