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Perché il voto sul referendum è anche politico e non solo costituzionale

Gli  agit-prop del ‘’Basta un Sì’’ hanno criticato Mario Monti per la sua intervista al Corriere della Sera nella quale annunciava il suo No nel referendum del 4 dicembre motivandolo (lo ha poi chiarito nuovamente ad “8  ½”)  non solo per il dissenso nei confronti  di talune revisioni (quella del Senato in particolare) ma anche come risposta ad una politica del Governo, a suo giudizio, protesa a catturare comunque il consenso tramite elargizioni poco attente all’equilibrio dei conti pubblici. Gli hanno obiettato che il suo nuovo “combinato disposto” non ha ragione di essere e che, se non condivide le scelte economiche dell’esecutivo, può votare contro alla legge di Bilancio, non alla legge Boschi che affronta altre problematiche. Eppure nel fronte del Sì (si è iscritto persino Barack Obama) sono in tanti che votano “a prescindere” in base ad una valutazione di carattere politico: che cosa potrebbe succedere se, sconfitto nel referendum, il Governo cadesse? È una preoccupazione legittima. Ma un voto di carattere eminentemente politico si può dare anche mettendo la croce sul No. Se qualcuno è convinto che le scelte compiute da Renzi siano sbagliate e che il premier continui a “gettare soldi dall’elicottero” sprecando (come con i 7 miliardi per le pensioni) risorse che sarebbero meglio destinate ad altre finalità più importanti, ha tutto il diritto di sfruttare l’occasione del referendum per mandare a casa questo Governo. Del resto prenderebbe due piccioni con una sola fava (Basta un No): licenziare un cattivo Governo e bocciare una riforma sbagliata.

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Io sono un ammiratore del film cult “Casablanca”. L’ho visto centinaia di volte. Ricordo sempre una delle scene finali, quando Victor Laszlo, all’aeroporto prima di imbarcarsi per Lisbona, prende commiato da Rick Blain con queste parole: “Ben tornato alla lotta, ora so che la nostra parte vincerà”. Se mi è concesso, mi sento di dire altrettanto a Mario Monti.

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I fautori del voto positivo nel referendum ammettono che, forse, la legge poteva essere scritta meglio, ma accusano di “estetismo” quelli che voteranno No proprio a causa di un testo confuso e sgrammaticato. In fondo, dicono, non ha senso prestare troppa attenzione alle parole. Il fatto è che – come scrisse un grande giurista – “bastano tre parole del legislatore per mandare al macero intere biblioteche”. Le leggi non sono corrette o sbagliate. Sono leggi. E sono fatte solo di parole. Dure come macigni.


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