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Ecco come Marco Bentivogli (Fim-Cisl) ha conquistato la Leopolda di Renzi su sindacato nuovo e autonomia

marco bentivogli

Si potrebbe definire un sindacalista atipico, se non altro perché è riuscito a strappare applausi anche alla Leopolda dove, di regola, chi svolge la sua professione raccoglie soprattutto fischi. Ma il diretto interessato – il leader dei metalmeccanici della Cisl Marco Bentivogli – mette subito le mani avanti: “Non sono né un renziano, né un iscritto al Pd. Sono andato a Firenze semplicemente per raccontare le mie idee“. Innanzitutto sul suo mondo, al quale non ha lesinato critiche anche nette: “C’è una parte di cui si può e si deve fare a meno: è il sindacato che confonde la difesa di diritti sacrosanti con il loro abuso come accade troppo spesso, ad esempio, in materia di scioperi“.

Ciò non vuol dire, ovviamente, che tutto sia da buttare. Anzi, Bentivogli si dice convinto che Matteo Renzi abbia troppo spesso generalizzato il suo giudizio, con la conseguenza di confondere tutti in un unico calderone: “L’ho detto chiaramente anche dal palco della Leopolda: c’è un sindacato che non è mai scappato dalle fabbriche e che ha seguito con dedizione e passione tutte le vertenze senza rifugiarsi nei salotti tv” (un riferimento neppure tanto indiretto al leader della Fiom, Maurizio Landini). Il presidente del Consiglio, però, lo ha riconosciuto sempre a fatica e a malincuore: “E’ il caso dell’accordo in Fiat. Renzi ha sempre elogiato Sergio Marchionne: io gli ho ricordato che senza il nostro impegno gli investimenti di questi ultimi anni non ci sarebbero stati“.

E’ indubbio però che in molti casi – nella lista delle priorità dei sindacati – la gestione del potere abbia finito con il soppiantare la tutela dei diritti dei lavoratori. “Ciò è accaduto in particolare nelle aziende in cui le sigle sindacali sono proliferate a dismisura“, spiega il segretario generale della FIM Cisl: “Una circostanza che ha portato a una vera e propria degenerazione corporativa delle rivendicazioni, accompagnata da un rapporto non così sano con il potere aziendale“.

Bentivogli, però, ne ha pure per la politica, sempre più concentrata sulla comunicazione e sempre meno sui problemi concreti del Paese: “E’ assurdo che la maggior parte degli esponenti politici conosca i dirigenti sindacali solo dalla televisione: significa che non vivono il territorio e le crisi industriali“. Una critica che rivolge in particolar modo al Pd. Ma si riferisce ai renziani – spesso apparsi sideralmente distanti dal mondo sindacale – o anche alla sinistra dem? “Ad entrambi, ma il problema non riguarda solo il Partito Democratico. Tutte le forze politiche danno l’impressione di essersi dimenticate del lavoro e dell’industria“.

Qualcosa, però, sembra che stia cominciando a muoversi, come dimostra il piano industria 4.0 ideato dal ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda e previsto nella legge di bilancio ora in discussione in Parlamento: “Finalmente si torna a parlare di investimenti su questo settore, era ora“. Giudizio, invece, negativo sulle politiche del governo in materia di evasione fiscale: “Il cucù Equitalia non c’è più non mi è piaciuto per niente. Ricordiamoci sempre che le agenzie di riscossione operano sulla base degli indirizzi e delle regole fissate dal governo“. Più in generale sono i messaggi in questo senso che arrivano da Palazzo Chigi a non convincere Bentivogli: “Rappresento quella parte di Paese che ogni mese non decide con il commercialista che reddito dichiarare e, onestamente, non mi piace sentire che la lotta all’evasione è vessatoria. Questo non va bene. Certo ci sono dei casi, ma da noi gli evasori di regola la fanno franca“.

Il segretario generale della FIM Cisl è, invece, molto più in sintonia con il governo quando si parla di riforme costituzionali. In linea con il leader confederale Anna Maria Furlan, Bentivogli conferma il suo Sì convinto al referendum del ‪4 dicembre‬: “La valutazione è totalmente di merito. La riforma è sicuramente perfettibile – noi il Senato lo avremmo abolito direttamente – ma va nella direzione giusta: è l’approdo positivo di un dibattito durato oltre trent’anni“. A tal proposito il suo giudizio sul fronte del No è netto: “Dal 1983 ad oggi ci sono stati sette tentativi di riformare la Costituzione, tutti rigorosamente falliti  e su proposte che davano molto all’esecutivo molto più potere di questa. E adesso i responsabili di tutti questi fallimenti si mettono pure a fare lezioni. Ditemi voi se è possibile“. Una visione molto simile a quella enunciata da Renzi dal palco della Leopolda: “Quello che propone di votare No è un ceto di ultrasessantenni che vuole solo riproporre sé stesso o i loro replicanti per il futuro. Se fossi un ventenne ci penserei bene“.

Due gli aspetti più positivi della riforma: da un lato la fine del bicameralismo perfetto con l’addio “all’estenuante ping pong tra Camera e Senato“, dall’altro “l’abbattimento del mostro del Titolo V, voluto a suo tempo da D’Alema per inseguire la Lega“. Un elemento – quest’ultimo – che, secondo Bentivogli, ha finito con il causare numerosi danni all’Italia: “Questo potere normativo concorrente tra Stato e regioni ci ha impedito di sviluppare una politica energetica, industriale, infrastrutturale e sociale di carattere nazionale“.

Ma la Leopolda vista da un non leopoldino com’è? L’impressione di Bentivogli è positiva nonostante molti quotidiani abbiano descritto la kermesse non in salute: “Lo ripeto non sono né del Pd né tanto meno un renziano. Però ho visto dedizione e passione. E tante persone che si davano da fare. In giro per l’Italia di gente che profonde impegno politico e civile ce n’è assai poca“.

Storia a parte l’ennesimo capitolo dell’ormai infinito scontro tra Renzi e la minoranza Pd. A proposito dell’episodio incriminato – il coro “fuori fuori” rivolto da una parte della platea all’indirizzo di Bersani e soci – il segretario della FIM Cisl ha le idee chiare: “Ero a due metri dalla persona che si è alzata e ha urlato. Un caso isolato, a cui Renzi ha risposto con l’appello ad impegnarsi per il Sì“. Vista dalla sua prospettiva la frattura nel Partito Democratico risulta quasi inspiegabile: “Sono abituato allo spirito dell’organizzazione di cui faccio parte: da noi si discute seriamente ma poi si decide a maggioranza. Nella mia vita, nei cantieri navali, ho preso le bastonate – e non a parole – per difendere cose su cui non ero d’accordo. Nel Pd a mancare è il principio di maggioranza“.

Quindi la ragione è tutta dalla parte di Renzi? “Troppo spesso” – risponde Bentivogli – “Renzi ha abusato della sua guasconeria. Però Bersani, che pure stimo come persona e come politico, sta sbagliando. Deve essere consapevole che in questo modo finirà con il distruggere il Pd“. L’esempio a cui guardare – secondo il leader sindacale – è rappresentato da Bernie Sanders, candidato sconfitto alle primarie democratiche negli Usa: “Alla sua età fa tre comizi al giorno per Hillary, nonostante la sua opzione politica sia molto diversa da quella della candidata alla presidenza degli Stati Uniti“.

Dal punto di vista delle relazioni industriali, infine, Bentivogli confida la sua fiducia in una rapida chiusura del contratto dei metalmeccanici: “Ci sono ancora nodi di un certo peso, ma siamo in una fase migliore. Speriamo di arrivare in fondo per la fine di novembre o per l’inizio di dicembre“. L’ipotesi di un intervento governativo sulle contrattazioni di categoria al momento pare scongiurato: “Mi sembra sia stato almeno rinviato“. C’è però un elemento sul quale l’Italia è rimasta ancora indietro e che deve rientrare nell’iniziativa di Palazzo Chigi: “Il grande capitolo che manca nella visione del Paese e dell’industria è la partecipazione strategica dei lavoratori. Che ha dimostrato di essere molto utile per sconfiggere la crisi, come l’esempio nordeuropeo ci insegna“.


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