Cosa pensa Donald Trump dell’approvvigionamento energetico americano nel quadriennio 2017-2020 e della difesa dell’ambiente?
La Clinton ha condotto una classica campagna basata sui progetti e accompagnata da accurati dettagli sulle sue future politiche energetiche. Nel suo programma, l’energia non era nemmeno degna di un capitolo a sé stante ma era significativamente integrata nel capitolo Climate Change.
Al contrario, Trump ha costruito la propria corsa attorno alle emozioni e dettato degli slogan senza impegni concreti su nessun tema, inclusi questi. Nel suo programma, i pochi numeri presenti sono senza sostegno, come lo slogan “Liberare 50 trilioni di dollari di riserve di shale, petrolio e gas, più centinaia di anni di riserve di carbone pulito” (non si sa bene su quali basi preveda il prezzo di vendita visto che non si sa nemmeno quanto ce n’è; parla di shale, petrolio e gas come se fossero tre cose diverse; descrive un misterioso carbone pulito e ne prevede pure la durata sicuro di conoscerne la disponibilità ed i consumi futuri). Nel suo Programma Energetico Prima l’America, la parte dominante non è la sua proposta ma la demolizione del piano di Hillary accompagnata dall’assicurazione che rescinderà tutti i contratti e gli accordi stipulati da Obama.
In attesa che il transition team inizi a lavorare e la nuova amministrazione prenda forma e definisca una strategia concreta, vediamo di eliminare la retorica dalle parole del presidente eletto e cerchiamo di capire come affronterà i problemi dell’energia e dell’ambiente. Durante il primo scontro televisivo alla Hofstra University, Hillary ha accusato Trump di credere che il cambiamento climatico fosse una bufala inventata dai cinesi ed ha proposto un piano per portare energia pulita ad alimentare ogni casa. Trump ha risposto sostenendo che gli investimenti nei pannelli solari sono stati un disastro e così pure le politiche energetiche obamiane.
Nel suo libro “Crippled America” del 2015, a pag. 65 Trump sostiene che le energie alternative alle fossili sono state un grande errore, provocato dall’idea sbagliata che il cambiamento climatico globale sia imputabile alle emissioni di anidride carbonica.
Trump ce l’ha con l’energia solare da anni. Già nel 2012 ha rifiutato il fotovoltaico come tecnologia priva di fondamenti scientifici perché secondo lui – allora – occorrevano 32 anni per rientrare nei costi di installazione dei pannelli. In realtà oggi i costi sono diminuiti anche di cinque volte ma le tecnologie basate sul Silicio rimangono – pur se fondate su solide basi scientifiche – ancora piuttosto costose.
Nello stesso libro, due pagine prima, afferma che Dio ha donato all’America due trilioni di barili di petrolio, sufficienti per i prossimi 285 anni e che nel 2017-2019 gli USA supereranno l’Arabia Saudita e la Russia diventando il principale produttore di idrocarburi al mondo e non saranno più schiavi dell’Opec. Purtroppo dimentica di dire che la maggior parte di queste riserve sono racchiuse in strati argillosi (shale) e che per estrarle occorre spendere 54-60$ al barile, cioè molto più del loro prezzo di vendita. Nel frattempo, infatti, gli Stati Uniti sono tornati ad essere un Paese importatore di idrocarburi.
Ma Trump ce l’ha anche con le pale eoliche. Nel 2012 ha promosso una campagna “Salviamo la Scozia” per impedire al ministro Salmond di costruire un grosso impianto sperimentale a pale eoliche da 100 MW sulle coste del Mare del Nord. Per completezza, ricordiamo che ha intrapreso questa battaglia perché il campo eolico stava per sorgere di fronte a due campi da golf residenziali che stava costruendo proprio sulle coste scozzesi.
Un motivo simile gli fa odiare gli edifici verdi: in “Think Big” del 2008 a pag. 327 protesta contro lo Stato di New York perché lo ha costretto a rendere ecosostenibile – ovviamente a caro prezzo – un complesso di edifici residenziali che stava realizzando a Jones Beach.
A Fox News nel 2014 e poi alla CNN nel 2015 ha sostenuto che il cambiamento climatico – sempre che fosse una realtà – non era necessariamente prodotto dalle attività umane. Contraddicendo se stesso, nel corso dello stesso programma si chiedeva perché gli USA dovevano rendere pulite le loro fabbriche fin da subito mentre la Cina poteva cominciare a trasformale solo dopo 30-35 anni. In un tweet del 2012 – ora non più reperibile – pare abbia affermato che il cambiamento climatico era stato inventato proprio dai cinesi per sopprimere l’economia americana.
Ha ribattezzato in Limita e tassa e definito suicida il piano Limita e commercia promosso da Obama nel 2008 con l’obiettivo di tassare le attività industriali che superano il limite previsto per le emissioni di anidride carbonica.
Nel suo libro “Time to Get Tough” del 2011 a pag. 16-17 afferma che l’economia americana continuerà a zoppicare finché il prezzo del petrolio non scenderà a prezzi ragionevoli. Qui denuncia i miliardi di dollari dei contribuenti sperperati da Obama a sostegno alle compagnie energetiche che investono nelle rinnovabili e lo accusa di aver fallito nella creazione di milioni di “colletti verdi”: i lavoratori nel settore delle rinnovabili.
Nello stesso libro (pag. 24) sostiene che con il solo gas estraibile dagli scisti argillosi del giacimento Marcellus si potrebbe alimentare l’intera nazione per 110 anni grazie a 87 miliardi di barili di petrolio equivalente. Rimane il problema che non si sa quanto ce ne sia effettivamente e che tirarlo fuori costa almeno il 50% in più che comprarlo all’estero.
La politica di Trump nei confronti dei Paesi in guerra ma ricchi di risorse si trova sempre qui (pag. 102): “Niente supporto militare senza petrolio”. La sua ricetta era offrire aiuto ai libici che volevano sbarazzarsi di Gheddafi solo se questi – in cambio del supporto militare – avessero accettato di regalare il 50% del petrolio estratto dalla Libia nei prossimi 25 anni. Interessante chiedersi chi avrebbe firmato – e con quale autorità – questo accordo visto che sono sei anni che la Libia è dilaniata da una guerra civile fra innumerevoli tribù.
Per risolvere la dittatura dei prezzi dell’OPEC la ricetta trumpiana – in una intervista a Devonia Smith nel 2011 – è una rapida concessione dei permessi di prospezione e di produzione di idrocarburi fossili per invadere il mercato internazionale di petrolio made in USA e poter quindi decidere i prezzi di mercato.
In un’intervista con Neil Cavuto a “Your World” nel 2011 (pochi mesi dopo il disastro di Fukushima) Trump si dichiara fortemente a favore del nucleare ma ammette che ci sono dei rischi: in primo luogo quello di azioni terroristiche.
Riassumendo, sul piano legislativo Trump ha promesso di cancellare la “guerra al carbone scatenata da Obama” e di ribaltare i regolamenti “non indispensabili” che limitano la produzione di petrolio, gas e carbone. La stessa fine aspetta il “Clean Power Plan” che la precedente amministrazione non ha fatto a tempo a varare.
La nuova leadership ritiene esagerato l’allarmismo sul cambiamento climatico, prevede di privilegiare gli interessi delle compagnie energetiche legate al fossile e di essere meno recettiva alle istanze promosse dalle compagnie che investono sulle rinnovabili e sulle tecnologie pulite.
Il miliardario ha promesso grandi tagli alle tasse e percorsi accelerati per gli investimenti nel settore energetico. Queste aperture sono però ostacolate dalle politiche protezionistiche spesso al centro delle sue dichiarazioni e dal suo rifiuto di onorare o stipulare nuovi accordi commerciali vincolanti per l’espansionismo americano.
Trump vuole cancellare unilateralmente l’accordo multilaterale con l’Iran e riattivare una politica di sanzioni e di inibizione dello sviluppo nucleare di quel Paese. Vede nell’OPEC il nemico da battere con una politica di alta produzione a basso prezzo che impedisca agli arabi di dettare il prezzo del barile.
In conclusione, Trump ha promesso una rivoluzione delle politiche energetiche americane e non solo di quelle. Ma la realtà si preannuncia molto più confusa – e più ricca di compromessi – di quella che ha dipinto nella campagna elettorale più surreale della storia americana.