Primo messaggio: “La riforma della costituzione è solo un aspetto del cambiamento: fondamentale, ma di certo non sufficiente“. Secondo messaggio: “L‘Italia non è messa poi così male come molti sostengono“. Firmato Diego Piacentini, il vicepresidente di Amazon che per due anni ha deciso di sposare la causa del governo Renzi e di lasciare il suo ruolo in una delle più importanti multinazionali del pianeta: da poco più di un mese ha iniziato ad occuparsi di sviluppo tecnologico a Palazzo Chigi nella veste di commissario straordinario per l’attuazione dell’Agenda digitale. Quasi un alieno nella più glamour delle kermesse politiche, all’esordio da leopoldino nell’edizione più difficile e importante, quella che prelude al referendum costituzionale del prossimo 4 dicembre. Una manifestazione vissuta da protagonista, con un intervento dal palco e un tavolo di lavoro da moderare
Che sensazioni in vista del voto? Prevarranno i Sì oppure i no?
Non ho elementi per dirlo. So cosa vorrei accadesse, ma sono consapevole che non sia scontato. D’altronde – dopo la Brexit e il referendum in Colombia – direi che la non prevedibilità di queste consultazioni è un dato di fatto. E lo stesso vale per il voto negli Stati Uniti.
Ma il Sì è sufficiente per portare in Italia quel cambiamento di cui lei parla?
Figuriamoci, assolutamente no. E’ solo un aspetto di un processo molto più vasto. Quasi un simbolo, che però riveste un’importanza fondamentale.
Perché ha deciso di tornare in Italia?
A torto o a ragione ho ritenuto che questo governo fosse in grado di imprimere al Paese quel cambiamento di cui ha immenso bisogno. Se non lo avessi pensato, non avrei assunto una decisione del genere, di per sé stessa difficilissima e rischiosissima.
Quanto è stato importante Renzi perché prendesse la sua decisione?
E’ lui che mi ha convinto. Spero di aver avuto ragione a prendermi questo rischio, ma in fondo è uno scambio alla pari. Io ho rischiato su di lui e Renzi ha rischiato su di me.
Come aveva fatto anche Andrea Guerra: oggi ha parlato dal palco ma su La Stampa qualche critica al governo l’ha mossa.
E’ stato Andrea a consigliarmi caldamente di accettare questo incarico. E poi – quando saranno terminati questi due anni di collaborazione con il governo – tornerò al mio lavoro come ha fatto lui.
Ma a un uomo d’impresa come lei questa Leopolda è piaciuta?
Fino a questa mattina ero scettico, lo ammetto. Ma mi sono abbastanza ricreduto.
Ha coordinato il tavolo di lavoro su innovazione e agenda digitale. Esperienza da ripetere?
Ho trovato competenze al tavolo che assolutamente non mi aspettavo: è stata un bella occasione per discutere concretamente di innovazione tecnologica.
Ruolo privilegiato da cui anche ha potuto tastare l’umore dei militanti in vista del referendum. Regna l’ottimismo o il pessimismo?
Non è stato fatto un solo cenno al referendum. Chi si occupa di tecnologia, per natura vuole innovare. E anche la riforma costituzionale rientra nel grande progetto di innovazione del Paese.
Cosa ha trovato al suo rientro dagli Stati Uniti? Com’è l’Italia vissuta da un ruolo nella pubblica amministrazione?
Forse non ci crederà, ma ho trovato molta più competenza e passione di quanto non venga continuamente raccontato.
Ma la burocrazia – vista dall’interno – è così poco efficiente come troppo spesso appare dall’esterno?
Rispondere sì a una domanda del genere sarebbe facile. Anche in Italia ci sono aspetti che funzionano: quanto ha fatto Sogei con il 7 e 30 precompilato, è un esempio a livello internazionale. Inutile negare, però, che su molte questioni si debba fare di più e meglio.
Su quali in particolare? Qual è un intervento cui non si dovrebbe prescindere?
Indicarne uno solo è difficile: sono troppi. Scherzi a parte, l’importante è avere le basi da cui poter cominciare. E noi ce le abbiamo.
Qual è il suo obiettivo di fondo?
Innescare un processo di innovazione – non solo tecnologica – che renda più facile la vita dei cittadini e delle imprese.
Obiettivo titanico.
Ne sono perfettamente consapevole. Ho cominciato a lavorare a Palazzo Chigi da 32 giorni: tra due anni – quando il mio incarico sarà finito – tireremo le somme.