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Perché dopo il referendum del 4 dicembre non potrà esserci un governicchio

napolitano, mattarella

Comunque vada, quali che siano i risultati del referendum costituzionale, non vi potrà essere un “governicchio”. Terminata la sospensione politica, dovuta ad una campagna elettorale più simile ad un’ordalia che non ad un normale confronto politico, tutti i problemi rimossi o messi in naftalina torneranno ad essere centrali. Si dovrà comunque mettere mano alla legge elettorale. E non solo perché promesso dai vari competitor, ma a seguito della preannunciata sentenza della Corte costituzionale, anch’essa rinviata per non porre intralcio alla competizione. Saranno modifiche più o meno ampie, a seconda che vinca il Sì o il No. Ma per le quali sarà comunque necessaria avere una maggioranza parlamentare.

C’è poi il fronte europeo. Anche in questo caso, giudizio sospeso. Un limbo che non è necessariamente la porta del paradiso. Finora la Commissione si è limitata a iscrivere l’Italia nell’elenco dei cattivi. Dato sorprendente se si considera che Paesi come la Spagna e la Francia, che presentano un deficit maggiore di quello italiano, sono stati esclusi. Ma il criterio usato in prevalenza è stato diverso. Il mancato rispetto della riduzione del deficit strutturale. Vale a dire quel calcolo complicato, le cui metodologie sono state più volte contestate da Via XX Settembre, che dovrebbe svelare la verità nascosta. Ossia la reale natura degli squilibri strutturali che caratterizzano la situazione finanziaria di ciascun Paese. Alla ricerca, quindi, dell'”essenza delle cose”, per dirla con Platone: il capostipite dei nemici della “società aperta”, secondo il verbo di Karl Popper.

Quel giudizio pende come una mannaia sulla legge di bilancio che la Camera dei deputati approverà. Ma solo in via provvisoria. Il 5 dicembre, all’indomani del referendum, si vedrà. In tanto la Commissione ha circoscritto la latitudine del possibile conflitto. Gli extra costi riconosciuti per l’assistenza ai rifugiati e per il terremoto sono pari allo 0,1% del Pil, contro lo 0,4 indicato dal Governo italiano. Una differenza che è pari a oltre 5 miliardi ed alla quale si dovrà provvedere, riscrivendo parzialmente – dipenderà dall’eventuale compromesso – alcuni articoli della stessa legge.

Non sarà una trattativa semplice a causa dei mutamenti che si intravedono negli equilibri dei mercati finanziari. Il movimento ascensionale degli spread continua senza sosta, risparmiando solo in parte il bund tedesco. Dire cosa avverrà il 5 di dicembre è fuori dalla nostra portata. Un minimo di percezione dovrebbe, tuttavia, invitare alla prudenza nelle dichiarazioni. Ci muoviamo in “acque incognite” come disse, a suo tempo, Mario Draghi ed è quindi bene tenere a freno la lingua. Se poi non si vuole essere smentiti da una realtà che obbligherà a scelte diverse.

Tanto più che il 2018 si presenta tutt’altro che “sereno”. Secondo gli stessi calcoli del governo occorrerà trovare quasi 4 miliardi per scongiurare l’aumento di imposte che è conseguente dell’impostazione data alla legge di bilancio. Poca cosa se paragonata agli ulteriori 15 miliardi che servono per evitare che l’IVA normale salti al 25% e quella agevolata al 13%. Dati di contesto che rendono improbabile un anticipo della campagna elettorale, prima della normale scadenza. Come si vede le angosce non sono finite. E’ bene farsene una ragione.

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