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Vi racconto i 3 populismi che si azzuffano sul referendum del 4 dicembre

Rovesciando la celebre formula di von Clausewitz, Michel Foucault sosteneva che la politica è la continuazione della guerra con altri mezzi. Considerando il crescendo rossiniano dello scontro sulla riforma costituzionale, non gli si può dare torto. La dimensione conflittuale della politica è beninteso ineliminabile, perché inestricabilmente legata alla lotta per la conquista del potere. Il problema nasce quando essa muta segno e il gioco democratico si trasforma in una rissa permanente senza regole e senza esclusione di colpi.

Il nostro Paese sta correndo questo rischio? A me sembra di sì. Diceva il grande critico letterario Cesare Garboli che non è facile sentirsi cittadini di uno Stato diviso dalla politica in due metà: quella che la pratica e quella che la disprezza. E oggi ci sono perfino aspetti umoristici nella capacità tutta italiana di far convivere la farsa con l’arte della menzogna nella campagna referendaria.

Il populismo rusticano di Matteo Salvini Renato Brunetta e Marco Travaglio (la “schiforma”), il populismo anticasta di Matteo Renzi (“tagliamo le poltrone e i costi del Senato”), il populismo digitale di Beppe Grillo (“processeremo tutti online”), ne costituiscono – sia pure in varia misura – una plastica testimonianza.

Giudizi esagerati, i miei? Può darsi. Interroghiamoci, però, sullo stato di salute di quelli che Norberto Bobbio indicava come irrinunciabili valori democratici: tolleranza, non-violenza, rinnovamento delle istituzioni attraverso il libero dibattito, solidarietà sociale. Non si può affermare, credo, che siamo messi molto bene. Insomma, un pericolo c’è. In Europa diverse formazioni della destra xenofoba, espressione dello “sciovinismo del benessere” prodotto dalla globalizzazione, mietono crescenti successi solleticando il senso di insicurezza di vasti strati popolari. Donald Trump ha sfondato nell’elettorato rurale e operaio colpito dalla deindustrializzazione. Da noi sono scese in campo figure di leader furbacchioni (vecchi e nuovi) che fanno leva sullo “sdegno di massa” come orizzonte normativo della propria azione politica.

Un fatto è certo. Ove andasse a ramengo il quadro di principi etici in virtù dei quali la liberaldemocrazia si presenta come preferibile e si propone come desiderabile, non è escluso che le commedie a cui stiamo assistendo in questi giorni possano preludere a veri e propri drammi, ovvero a vere e proprie rotture delle ragioni su cui si basa lo stare insieme di una comunità nazionale.


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