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Vi racconto la berlusconiana confusione in Forza Italia

Silvio Berlusconi, Forza Italia

Dopo 24 ore di doverosa ma inutile attesa di smentite o precisazioni si può ben prendere per buona la cronaca fatta sulla Stampa di giovedì 17 novembre da Alessandra Costante, a pagina 13, di un incontro di Fedele Confalonieri, presidente di Mediaset e amico davvero fraterno di Silvio Berlusconi, con gli studenti di Genova. Che erano giustamente curiosi di sapere i segreti di chi può fare carriera nelle aziende del Biscione, e nello stesso entourage del loro inventivo e fortunato fondatore.

La prima qualità che serve – ha spiegato Confalonieri – è “un buon carattere”. Lo diceva, in verità, per il suo Giornale, quando già entrò a far parte del patrimonio di Berlusconi, anche il buon Indro Montanelli. Che pure di carattere ne aveva uno a dir poco brutto, se non vogliamo chiamarlo pessimo. E per fortuna, visto che solo grazie a quel brutto carattere negli anni Settanta egli ebbe il coraggio di mettersi di traverso rispetto al conformismo favorevole al cosiddetto compromesso storico fra democristiani e comunisti, al di là delle contingenze eccezionali per le quali era stato proposto da Enrico Berlinguer. Il “toscanaccio” se ne andò dal Corriere della Sera, portandosi appresso quella che l’allora direttore Piero Ottone definì “l’argenteria” di via Solferino, e fondò una testata giornalistica che consolasse e insieme incoraggiasse i moderati a resistere.

Fu proprio per quel suo carattere ben poco accomodante che poi Montanelli, tra la fine del 1993 e l’inizio del 1994, rifiutò di condividere l’avventura politica del suo editore. E, cadendo in una provocazione tesagli da Emilio Fede davanti alle telecamere del Biscione con la sfida a dimettersi, se ne andò davvero. Non fu, a mio avviso, una decisione saggia perché sono convinto che Berlusconi alla fine gli avrebbe permesso di fare la fronda, come d’altronde Montanelli aveva già fatto negli anni passati contro l’amicizia personale e politica del suo editore con Bettino Craxi. Di cui il direttore del Giornale non sopportava l’indisponibilità a lisciargli il pelo.

Sulla favola del buon carattere, che si suole riconoscere agli amici e negare ai nemici, o loro varianti, resta comunque ferma e azzeccatissima l’opinione una volta espressa dalla buonanima di Sandro Petrini: “Per averne uno buono non bisogna avere carattere”. E anche il suo in effetti era fortunatamente un pessimo carattere, che giovò all’antifascismo e poi alla Repubblica, da lui onorata con una Presidenza che resta la più popolare fra quelle avvicendatesi in 70 anni ormai di storia: la più popolare e insieme la più felicemente imprevedibile.

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L’aspetto politico, non aziendale, della lezione di buon carattere impartita da Fedele Confalonieri agli studenti di Genova sta nel fatto che il presidente di Mediaset ha voluto estendere appunto alla politica, e a quella più attuale, le sue riflessioni per spiegare le ragioni del successo del suo giovane e presente amico Giovanni Toti, ex direttore di testate del Biscione e ora governatore della Liguria, e il fiasco, o qualcosa di simile, di Stefano Parisi. Che, in verità, non mi pare che sia mai stato dipendente di Mediaset e di Berlusconi personalmente, ma è stato proprio da lui messo in pista nei mesi scorsi per cercare di riorganizzare sia Forza Italia, provocando le gelosie e i sospetti di quasi tutti i dirigenti, sia l’area più generale di quello che fu il centrodestra, provocando questa volta le gelosie e i sospetti dell’ambizioso segretario leghista Matteo Salvini e della non meno ambiziosa, sia pure a livello più romano che nazionale, Giorgia Meloni. Che sono solito chiamare con cordiale ironia la sorella dei Fratelli d’Italia.

Stefano Parisi, quindi, è stato improvvisamente sgambettato e sostanzialmente liquidato da Berlusconi davanti ai microfoni di Radio anch’io per il suo maledetto, cattivo carattere. Di cui personalmente non mi ero accorto, essendomi anzi sembrata persona bene educata e tollerante, tanto da avere per mesi sopportato, senza mai querelarlo, il capogruppo forzista della Camera Renato Brunetta. Che si è avvalso anche della loro vecchia amicizia e comune militanza socialista per aumentare le sue già consistenti dosi di sarcasmo contro di lui per il ruolo un po’ troppo indefinito assegnatogli da Berlusconi: tanto indefinito da prestarsi ad abusi o equivoci.

Non parliamo naturalmente solo per carità istituzionale del carattere di Brunetta. Che curiosamente, stando alla logica e alla lezione di Confalonieri agli studenti di Genova, non si capisce come stia ancora lì a fare il presidente del gruppo di Forza Italia a Montecitorio.

Diversamente da Brunetta, non ho mai avuto il piacere o l’occasione di conoscere e frequentare Giovanni Toti, per cui non posso testimoniarvi del buon carattere certificatogli dal presidente di Mediaset. Posso solo valutarne dall’esterno, com’è mio mestiere, i comportamenti politici. Dai quali ho ricavato l’impressione che sia un ben curioso consigliere politico di Berlusconi, apprezzato dall’ex presidente del Consiglio, sempre secondo Confalonieri, per la capacità che ha di discutere le decisioni e valutazioni del capo stimolandone le riflessioni per affinarle o cambiarle, secondo i casi. E in quello di Parisi si è visto con quali effetti.

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So bene quanto piaccia a Berlusconi, come lui stesso dice, farsi concavo e convesso secondo le circostanze, al servizio di interessi generali, ma anche particolari o personali. Ma ho stentato e stento ancora a capire come e perché l’ex presidente del Consiglio abbia bocciato le reazioni di Stefano Parisi, da Padova, agli attacchi rivolti proprio a lui, Berlusconi, da Salvini, su un palco a Firenze dove gli era accanto un Toti per nulla infastidito e imbarazzato. Un Toti straordinariamente concavo col segretario leghista che liquidava l’ex presidente del Consiglio come “Re Tentenna” e ne contestava il “senso dello Stato e di responsabilità” assicurato al presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel caso di una crisi di governo causata dalla vittoria referendaria del No alla riforma costituzionale. Un No che dagli ultimi sondaggi risulta dai 7 agli 8 punti sopra il Sì, ma con un 25 per cento di indecisi che consente ancora a Renzi di sperare che il 5 dicembre non sia necessario ricorrere a crisi, e poi a “governicchi” cui lui comunque sarebbe indisponibile.

“Mattarella chi?”, ha chiesto Salvini gridando ad una folla che applaudiva, felice di contribuire a mettere alla berlina chi, secondo l’articolo 87 della Costituzione, “rappresenta l’unità nazionale”. Un articolo che non piace evidentemente a Salvini, ma forse neppure a Toti, governatore di regione e tuttora consigliere politico, a quanto pare molto ascoltato, di Berlusconi.


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