Cade il 10 dicembre l’ottantesimo anniversario della morte di Luigi Pirandello. A meno di miei errori e omissioni, un gran silenzio ha accompagnato anche quest’anno il (non) ricordo di quello che è stato forse il più grande e moderno genio italiano degli ultimi centocinquant’anni.
Impossibile pensare al teatro di Ionesco e Beckett senza – prima – la lezione pirandelliana. Allo stesso modo – spostandoci in avanti nel tempo – impossibile perfino immaginare il cinema di Antonioni. E quasi impossibile – tornando indietro – ricordare molti altri intellettuali, a parte eccezioni come Schnitzler, capaci (negli stessi anni, ma nel caso di Pirandello assai lontano da Vienna…) di riflettere sullo stesso magma incandescente oggetto degli studi di Freud.
Pirandello (i suoi romanzi, le sue novelle, le sue opere teatrali) è un miracolo che si rinnova ogni volta che un lettore, anche oggi, lo incontra o lo ritrova. L’idea che un uomo nato nel 1867 abbia potuto individuare, e da subito, già dalle prime opere, un nucleo così moderno di temi, di problemi, di nodi, lascia senza fiato.
Lo sfaccettarsi indecifrabile e ingestibile di ogni personalità. L’inesistenza di una verità oggettiva, ma il moltiplicarsi delle verità a seconda dei punti di vista da cui si osservano le cose. La devastante incomunicabilità che ne deriva, ai limiti dell’impossibilità di comprendersi reciprocamente. L’oppressione delle convenzioni sociali. La nevrosi come ombra che incombe su ciascun essere umano. La ricerca drammatica – starei per dire agonistica, in sfida con il destino – di un inafferrabile senso dell’esistenza. L’atroce beffa del caso sulle nostre vite.
Pirandello è tutto questo e molto altro. La scuola italiana te lo fa incontrare di fretta, confusamente, l’ultimo anno del liceo. Il teatro italiano te lo fa incontrare (spesso struprato, violentato, “interpretato”) in qualche pericolosissima “rilettura” (cari registi, giù le mani da quei sacri testi!). La televisione – figuriamoci – non ha tempo, persa tra cucine e talent-show. I giornali sono impegnati a smarchettare sui libri in uscita. Situazione disperata, dunque? No, situazione ideale, perché resta da fare la cosa più semplice e più utile, a qualunque età, per il primo incontro o per il cammino di una vita: leggerlo e rileggerlo direttamente, senza mediazioni, senza filtri, senza interpreti.