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Perché Cnel e province sono solo un capro espiatorio. La guida del prof. Celotto per il No al referendum

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L’ABROGAZIONE DEL CNEL

Nelle intenzioni dei Costituenti, il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro doveva rappresentare la “terza Camera”. Infatti doveva essere l’Assemblea dei rappresentanti delle forze produttive, affiancando il lavoro del Parlamento in materia economica e sociale.

Nei 70 anni di vita repubblicana, il CNEL non ha mai assunto il suo ruolo e, negli ultimi anni, è anzi diventato il “capro espiatorio” degli sprechi e dei costi inutili della politica.

Forse anche con eccessiva severità. Ad ogni modo, oggi si abrogherebbe l’art. 99 Cost e, così il CNEL.

Anche se va considerato che l’abolizione del CNEL poteva avvenire con legge ordinaria, eliminando l’organo senza toccare il testo costituzionale.

L’ABOLIZIONE DELLE PROVINCE

All’articolo 114 della Costituzione sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al primo comma, le parole: «dalle Province,» sono soppresse;
b) al secondo comma, le parole: «le Province,» sono soppresse“.

Art. 40, comma 4 – “Per gli enti di area vasta, tenuto conto anche delle aree montane, fatti salvi i profili ordinamentali generali relativi agli enti di area vasta definiti con legge dello Stato, le ulteriori disposizioni in materia sono adottate con legge regionale. Il mutamento delle circoscrizioni delle Città metropolitane è stabilito con legge della Repubblica, su iniziativa dei Comuni, sentita la Regione”.
In verità le Province, altro “capro espiatorio” dei costi della politica, sono già state abrogate a febbraio 2014, con la “legge Delrio”. Eppure, in Italia le province continuano ad esistere: le più grandi sono state trasformate in Città metropolitane (Roma, Milano, Napoli, etc.) e le altre sono diventate enti “di secondo livello”, con competenze di programmazione.

Ora, cancellare le Province anche dalla Costituzione assumerebbe un valore simbolico, anche se non scioglierebbe il nodo della Amministrazione territoriale in Italia.

Come ben sappiamo, noi siamo affezionati ai nostri 8000 comuni. Alcuni molto piccoli. Mentre le Regioni, create proprio dalla Assemblea Costituente, non hanno mai davvero svolto il proprio ruolo di “piccoli stati federati”. Ed anzi ora sono additate da molti come il vero centro degli sprechi (consideriamo che le Regioni hanno come competenza principale la Sanità, con una spesa totale di 160 miliardi di euro annui, che rappresenta i 2/3 del bilancio di ogni regione). La semplice abolizione costituzionale delle Province non serve, quindi, a dare un nuovo assetto congruo alla nostra amministrazione sul territorio. I comuni sono troppo piccoli. Le regioni troppo ampie.

Una riforma seria deve pensare ad un assetto territoriale più funzionale ed efficiente.

Del resto il paradosso consiste nel fatto che le Province scompaiono, ma in realtà restano sia le Città metropolitane sia gli enti di area vasta, che altro non sono se non lo stesso nome per enti che svolgono funzioni analoghe alle province. L’articolo 40, comma 4, è una norma transitoria emblematica, che “confessa” la non eliminabilità delle province, ammettendo che i futuri enti di area vasta saranno regolati dalle leggi regionali, secondo principi fissati dallo Stato.

Prima di sei puntate tratte dalla guida alla riforma costituzionale scritta dal prof. Alfonso Celoto dal titolo “Questa volta No”. La prima è consultabile qui, la seconda qui, la terza qui.  

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