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Cosa si è deciso (e cosa non si è deciso) nel Consiglio europeo

Si è chiuso il primo Consiglio europeo in cui ha partecipato da premier Paolo Gentiloni. Il vertice è stato segnato dall’insoddisfazione italiana per il “forte ritardo dell’Ue” (così lo ha definito il nuovo presidente del consiglio) in materia di immigrazione, ma anche da importanti passi in avanti in materia di Brexit e difesa comune.

IL RITARDO SULLA CRISI DEI MIGRANTI
Certo, ieri sul tavolo di capi di Stato e di governo le priorità erano crisi migratoria e guerra in Siria. Per quanto concerne l’immigrazione, oltre all’annuncio di un aiuto finanziario al Niger per 610 milioni di euro, poco si è mosso, soprattutto rispetto alle ambizioni italiane. Per evitare che il mancato consenso politico determinasse una cattiva definizione del meccanismo di ricollocamento dei migranti, proprio l’Italia ha spinto per uno slittamento del dibattito sulla modifica dell’accordo di Dublino. Se ne riparlerà da gennaio quando, chiusa la presidenza slovacca del Consiglio dell’Ue, si aprirà quella di Malta, sicuramente più vicina alla sensibilità italiana in materia di immigrazione. Il primo appuntamento è per il 16 gennaio, quando si riuniranno i ministri degli esteri.

SIRIA E UCRAINA
Sulla Siria, non ha trovato opposizioni, come previsto, la richiesta di un cessate-il-fuoco immediato e della creazione di un corridoio umanitario. Altrettanto esplicita è stata la condanna al “continuo assalto contro Aleppo da parte del regime siriano e dei suoi alleati, segretamente la Russia e l’Iran”, come si legge nelle conclusioni del vertice. Ancora prima del vertice, il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk aveva incontrato il presidente del consiglio locale di Aleppo Brita Hagi Hasan, confermando l’appoggio Ue alla soluzione della crisi umanitaria. Nelle stesse ore iniziava lo sgombero di Aleppo est, primo vero e proprio segnale di un cessate-il-fuoco funzionante dall’inizio della guerra. Anche per questo, si sono evitate sanzioni contro la Russia, su cui si è fatta sentire la posizione italiana favorevole a una logica compromissoria più che sanzionatoria. Sono state invece prolungate di sei mesi, e non di dodici come voleva la Polonia, le sanzioni imposte a Mosca per le azioni in Ucraina, in scadenza al 31 gennaio 2017, per il mancato rispetto degli accordi di Minsk.

APPROVATO IL PACCHETTO DIFESA
Rispetto a questioni così urgenti, sono passate dunque in secondo piano le decisioni in materia di sicurezza e difesa. È ancora una fase progettuale, ma finalmente è apparso chiaro un accordo politico espresso ai massimi livelli. I leader europei hanno infatti dato parere favorevole alle proposte messe in campo dalle varie istituzioni europee, cioè a quell’assetto politico-strategico che l’Alto rappresentante ha rinominato Defence Package. Tale “pacchetto” poggia su tre pilastri: la Global Strategy dell’Ue e i successivi piani implementativi approvati dal Consiglio dei ministri dell’Ue (17 ottobre e 14 novembre); l’European Defence Action Plan (Edap) ideato dalla Commissione e focalizzato sugli strumenti finanziari necessari a ricerca, sviluppo e capacità effettive; e la cooperazione con la Nato, da costruirsi sulla Joint Declaration firmata a luglio a Varsavia e definita nelle 42 proposte specifiche approvate dai ministri Ue e Nato a inizio dicembre.

L’ACCORDO CHE MANCAVA
Su questo progetto inter-istituzionale si era espresso favorevolmente anche il Parlamento a fine novembre. Ieri da Bruxelles è arrivato l’ok che mancava, la certificazione di un accordo politico per un progetto su cui Gentiloni si era esposto in prima persona già da ministro degli Esteri, con la proposta, avanzata insieme alla collega Pinotti, di “una Schengen della difesa”. Certo, la combinazione di Brexit e Trump ha favorito non poco la scomparsa delle reticenze (che potrebbe però ripresentarsi in fase attuativa) di chi in passato si era opposto all’integrazione della difesa. L’arrivo del magnate alla Casa Bianca, con gli annunci di una riduzione dell’impegno internazionale statunitense, ha spinto gli Stati membri dell’est a puntare di più sulla difesa continentale. La Brexit ha invece tirato fuori dai giochi il Regno Unito, da sempre ostile a qualsiasi progetto di maggiore integrazione nell’Ue.

IL PIANO PER LA BREXIT
Proprio la Brexit è stata al centro della parte conclusiva del Consiglio europeo, ufficialmente una “riunione informale” a 27, senza il primo ministro britannico Theresa May. Si è accolta con favore l’intenzione di Londra di avviare i negoziati entro la fine di marzo 2017. Ancora manca infatti la notifica della volontà di recesso prevista dall’art 50 del TUE. Una volta che questa sarà presentata, Bruxelles ha però un piano preciso: le linee guida per i negoziati saranno stabilite dal Consiglio europeo, mentre spetterà al Consiglio Affari generali procedere con le necessarie autorizzazioni. A negoziare per conto dell’Unione sarà la Commissione, nella persona di Michel Barnier, francese, già commissario con Barroso e consigliere speciale per la politica di sicurezza e difesa con Juncker. Accolta poi la proposta del Parlamento europeo per quella che Gentiloni ha definito “una sacrosanta partecipazione ai negoziati”. Sarà il belga Guy Verhofstadt a rappresentare l’aula di Strasburgo per tutto il corso delle negoziazioni tra Ue e Regno Unito.


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