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Tutti gli strepitii renziani di Denis Verdini contro Paolo Gentiloni

Denis Verdini

A una certa ora del pomeriggio di ieri, quando Enrico Zanetti nell’aula di Montecitorio ha annunciato che Ala non parteciperà al voto di fiducia al governo, sembra quasi un segnale di riapertura dei giochi. Attenzione: Ala non vota contro ma non partecipa, vuoi vedere che rientra dalla finestra con posti da viceministro o sottosegretari? Il silenzio telefonico dei verdiniani, solitamente molto loquaci, sembra confermare. Non è così. Il governo di Paolo Gentiloni nasce senza il sostegno di Ala-Scelta civica (16 deputati, 18 senatori). Lo strappo non è ricucibile: i verdiniani staranno fuori dalla maggioranza. Il governo, dunque, sarà numericamente più debole (169 voti sulla carta a Palazzo Madama su una maggioranza assoluta di 161), ma politicamente più forte, perché senza Verdini sarà meno attaccabile da sinistra. L’alleanza con l’ex azzurro, infatti, è stato uno degli argomenti più forti nell’arco degli anti renziani, specialmente quelli della minoranza Pd. “Questo mette la parola fine al ‘partito della nazione’ e ciò porrà Renzi in una posizione più forte anche in ottica congressuale”, dicono in coro un gruppetto di parlamentari renziani nel mezzo del Transatlantico.

Detto questo, ora l’esecutivo a Palazzo Madama dovrà sudarsela, anche se i sussurri di Palazzo dicono che in aiuto potrà arrivare di volta in volta l’assenza strategica di qualche berlusconiano. E anche di qualche verdiniano, perché Denis, in fondo, non ha alcun interesse ad andare presto alle urne: già oggi sulla fiducia usciranno dall’Aula, come hanno fatto a Montecitorio.

Il giorno dopo lo strappo, però, nel Palazzo ancora si ragiona su cosa abbia fatto saltare il banco tra Verdini, Renzi e Gentiloni. Il motivo sembra essere non tanto il nome sul possibile ministro (Denis preferiva Saverio Romano, ma gli sarebbero andati bene anche Pera o Urbani; Scelta Civica puntava a un ministero per Zanetti), ma sul dicastero: Verdini, infatti, secondo i rumors parlamentari, aveva chiesto il ministero della Sanità. E Gentiloni, facendo asse con Alfano e Mattarella, si è fermamente opposto. La richiesta di Verdini a tutti è suonata come una mossa in sintonia con il suo amico Antonio Angelucci, deputato azzurro patron delle cliniche romane ed editore di Libero. E il filorenzismo (interessato) di Angelucci qualche mese fa si era toccato con mano con la defenestrazione dalla direzione di Libero di Maurizio Belpietro, come ha fatto intendere lo stesso direttore del quotidiano La Verità, fondato dopo aver lasciato il quotidiano ora diretto da Vittorio Feltri. Niente Sanità e niente ministero per Verdini, dunque, che così non ha avuto il riconoscimento politico richiesto da parte di una componente parlamentare che però gli ha tolto le castagne dal fuoco in più di un’occasione. “Noi per Renzi abbiamo gettato sangue e ci siamo inimicati tutto il centrodestra. Avere un riconoscimento nella squadra ci sembrava il minimo. Per mesi abbiamo fatto parte della maggioranza a tutti gli effetti. Ora senza di noi in Senato ci sarà da divertirsi”, racconta un deputato di Ala che vuole restare anonimo.

A dire no a Verdini sono stati Mattarella e Gentiloni, mentre Renzi non ha voluto essere coinvolto e se n’è lavato le mani, come dimostra la telefonata fatta in viva voce da Denis all’ex premier che qualche verdiniano (Lucio Barani) ha pure registrato, come ha rivelato lo stesso Barani in una video intervista con il Corriere.it. Con la sua ignavia, da par suo, Renzi ha incassato due risultati: da una parte, come già detto in precedenza, potrà presentarsi al congresso Pd senza più il fardello dell’ex berlusconiano sulle spalle; dall’altra, con un esecutivo appeso a un filo di voti a Palazzo Madama, potrà farlo cadere più facilmente quando deciderà che è il momento di andare al voto. “Renzi ha interesse che ci sia un esecutivo debole perché vuole andare a votare subito dopo il congresso del Pd”, fa notare il senatore di Ala Vincenzo D’Anna. Resta da vedere, a questo punto, se il gruppo Ala-Scelta civica sarà in grado di restare unito o se, non più nella maggioranza, qualcuno preferirà migrare verso altri lidi, elettoralmente più sicuri.

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