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Cosa penso del governo Gentiloni. Parla Francesco D’Onofrio

E’ un governo in cui prevale la logica della continuità con il precedente. Ma con due novità da non sottovalutare: l’apposito ministero dedicato al Mezzogiorno e il cambio al vertice dell’Istruzione“. Il costituzionalista ed ex ministro Francesco D’Onofrio di nuovi esecutivi se ne intende: nella sua lunga carriera nelle istituzioni – iniziata alla Camera nel 1983 e terminata al Senato nel 2008 – ha visto susseguirsi numerose crisi di governo. Ma questa volta – lascia intendere – c’è qualcosa di diverso. Perché una stagione politica – quella del bipolarismo – si sta concludendo, ed una nuova, forse, sta per cominciare.

Professore, che valore hanno la nascita del ministero del Mezzogiorno e la sostituzione di Stefania Giannini?

Innanzitutto, si prende finalmente atto della necessità di un deciso intervento sul sud Italia, che continua ad impoverirsi e che, pertanto, ha votato largamente No al referendum costituzionale dello scorso 4 dicembre. Nel secondo caso mi pare, invece, che vi sia il tentativo di recuperare il rapporto con il mondo della scuola: un universo da sempre vicino al centrosinistra che, però, ha voltato le spalle a Renzi dopo la riforma approvata dal governo da lui presieduto.

Vuol dire che la lezione del referendum è stata almeno in parte recepita?

E’ un primo frammento di valutazione delle ragioni di fondo della vittoria del No. Che sono tre in particolare: il sud, la scuola e i giovani.

Gli elementi di continuità con il governo Renzi, però, sono evidenti come ha osservato anche lei. Che ne pensa della conferma di Maria Elena Boschi?

La capisco, ma non la condivido. Mi spiego meglio: nell’ottica renziana, la presenza di Boschi serve a marcare la continuità assoluta con il governo Gentiloni che lo ha sostituito. Ma non è affatto detto che ciò sia un bene per il nuovo presidente del Consiglio e l’esecutivo che è stato chiamato a guidare. Tutt’altro.

Ma Boschi – che è diventata sottosegretario unico alla presidenza del Consiglio – è stata promossa oppure no?

Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio ha un ruolo solo formalmente meno importante dei singoli ministri. Politicamente, invece, si può ritenere persino più rilevante. Dipenderà da come Boschi interpreterà questa sua nuova funzione.

Quello di Gentiloni sarà un governo elettorale? 

E’ possibile, ma non me lo auguro. L’Italia avrebbe bisogno di un governo di transizione che la traghetti dal vecchio sistema – iniziata con l’elezione diretta dei sindaci nel 1993 – al nuovo. Che, poi, altro non è che la riedizione della logica originaria della storia dell’Italia repubblicana.

In che senso?

Gli ultimi venti anni abbondanti sono stati caratterizzati dall’affermazione della cosiddetta vocazione maggioritaria cui si sono ispirati Berlusconi, Veltroni e Renzi. Oggi, al contrario, si sta tornando alla cultura delle coalizioni che era alla base della costituzione repubblicana. Basti pensare all’esempio della Democrazia Cristiana, nella quale Alcide De Gasperi teorizzava, in contraddizione con Giuseppe Dossetti, la necessità di non andare mai al governo da soli.

Un ritorno al passato dunque?

Renzi rappresenta, a mio avviso, il tramonto della stagione della vocazione maggioritaria che l’ex presidente del Consiglio ha interpretato massimamente.

Quindi si torna al proporzionale puro?

Nella cultura della coalizione vi sono due modelli di proporzionale: il primo è quello che ha caratterizzato la prima repubblica nella quale vi è sempre stata una sostanziale sottovalutazione del governo come organo costituzionale. L’architrave di quel sistema erano i partiti – da qui l’espressione partitocrazia – nel senso che il primato spettava loro.

E il secondo modello?

E’ quello verso il quale mi auguro che si vada. Occorrerebbe una legge proporzionale che si faccia carico anche del soggetto governo. Una legge sul modello tedesco che preveda pure una clausola di sbarramento non irrilevante.

In quest’ottica come potrebbe ricomporsi il quadro politico?

E’ necessaria una sinistra responsabile – come quella ipotizzata da Giuliano Pisapia – che si allei stabilmente con il Partito Democratico. E poi un nuovo soggetto centrista – che al momento ancora non esiste – il quale svolga nella coalizione una funzione per così dire moderante.

Ma il Pd – Renzi in testa – sarebbe favorevole a suo avviso a una soluzione del genere?

Intanto occorre che si concentrino sull’analisi del voto referendario. Finora è mancata sia da parte di Renzi che del partito, ma non se ne può fare a meno. Se transizione deve esserci, è necessario capire cosa non ha funzionato. Altrimenti la continuità del governo – già ben rappresentata da una formazione di ministri pressoché invariata – sarà evidente anche sotto il profilo politico. Con inevitabili ripercussioni dal punto di vista elettorale.

Nel centrodestra invece? 

La nuova legge elettorale ci aiuterà a capire quale sia l’effettivo stato di salute dei rapporti tra Forza Italia e Lega nord. A mio avviso stanno assumendo due posizioni radicalmente diverse, molto di più di quanto non sembri. Nella Lega – e anche in Fratelli d’Italia – prevalgono atteggiamenti anti-istituzionali di carattere populista che mal si conciliano con la strategia di Berlusconi. Che si è posto all’apposizione del governo, pur essendosi dichiarato disponibile a ragionare con la maggioranza a proposito della nuova legge elettorale.

E il MoVimento 5 Stelle che ha di fatto scardinato il bipolarismo degli ultimi vent’anni?

Idealmente mi pare che sostenga, anche un po’ utopicamente, il primato del Parlamento rispetto al governo. Il cosiddetto assemblearismo. Di conseguenza, è ovvio che il problema della cultura della coalizione neppure se lo pongano.

C’è però chi dice che oggi i cinquestelle siano pronti a fare alleanze differentemente da quanto accaduto in passato. Ci crede?

Segnerebbe il loro passaggio dalla fase utopica alla fase del realismo politico. E’ uno scenario possibile, di cui al momento, però, non abbiamo alcuna evidenza.

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