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Vi spiego gli effetti (nefasti) del referendum promosso dalla Cgil sull’articolo 18

Susanna Camusso, Cgil

Finita la ‘’Batracomiomachia’’ sul referendum costituzionale si presenta all’orizzonte un altro guaio ben più gravido di conseguenze economiche e sociali. Si tratta del superquesito abrogativo delle innovazioni legislative degli ultimi tre anni in materia di licenziamento individuale che sarà esaminato (relatrice Silvana Sciarra) dalla Consulta a partire dall’11 gennaio prossimo. L’iniziativa è stata promossa dalla Cgil; sospinta da oltre tre milioni di firme ha scavato – come una talpa sotto le politiche del lavoro del Governo – un reticolo di gallerie tanto diffuso ed articolato da rendere prossimo un rovinoso crollo. Nell’indifferenza generale, la Corte di Cassazione ha già compiuto il controllo delle firme e trasmesso gli atti ai giudici delle leggi che adesso devono valutare l’ammissibilità dei quesiti. Se l’iter referendario supererà anche questo passaggio, il Governo sarà tenuto a fissare la data della consultazione (in questo caso per la sua validità sarà necessario il raggiungimento del quorum) in una data tra il 15 aprile e il 15 giugno. Il voto potrebbe a quel punto essere evitato solo mediante una sostanziale modifica delle norme controverse (cosa improbabile per come sono messe le forze politiche e per il poco tempo a disposizione) o rinviato di un anno a fronte di elezioni anticipate. Ecco perché si fa sempre più probabile l’ipotesi di una fine prossima della legislatura. Il Pd non sopporterebbe un’altra divisione interna sull’articolo 18. Ma anche gli altri partiti non esiterebbero a scaricare per ragioni elettorali ogni parvenza di virtù riformista, mentre le forze populiste sarebbero a nozze. Insomma un disastro: tanto più se ci aggiungiamo anche gli altri quesiti tra cui la soppressione dei voucher, uno strumento che ha avuto il torto di funzionare e far emergere lavoro nero.

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Ma in che cosa consiste la resurrezione dell’articolo 18? Si tratta di un’operazione complessa: il bisturi del quesito abrogativo seziona le regole sul recesso contenute in due distinte leggi: il dlgs n.23/2015 istitutivo del contratto a tutele crescenti (che sarebbe abrogato tout court) e l’articolo 18 ‘’novellato’’ dalla legge Fornero del 2012 (la disciplina ora vigente per la grande maggioranza dei lavoratori italiani). Ma la manipolazione delle parole – secondo l’interpretazione (dubbia) che ne fornisce la Cgil – non comporterebbe un ripristino secco della normativa statutaria, ma produrrebbe un articolo 18 nuovo di zecca: con la reintegra nel posto di lavoro in caso di licenziamento disciplinare giudicato illegittimo, anche per le aziende fino a 5 (non più 15) dipendenti. In quelle con un numero inferiore di addetti, la reintegra non sarebbe automatica ma a discrezione del giudice. In sostanza, sia pure limitatamente alla tutela del recesso per motivi disciplinari ritenuto ingiustificato in giudizio (ma non ne siamo del tutto sicuri che la norma non si applichi anche ad altre fattispecie), ci sarebbe persino un’estensione della copertura alle micro-aziende da sempre escluse.

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Alcuni mesi or sono la Confindustria fece una ‘’marchetta’’ a favore del Governo Renzi pubblicando uno studio sugli effetti devastanti (anche in termini di perdita di punti di Pil) di una eventuale vittoria del No nel referendum. Non sappiamo che cosa pensino a viale dell’Astronomia di questo ennesimo colpo di coda del diritto del lavoro statutario. Noi siamo certi che, se si dovesse andare al referendum, si bloccherebbe il meccanismo delle assunzioni e fioccherebbero i licenziamenti.

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E’ bene allora non commettere errori. Il primo – ci sono cascato anch’io – è quello di dare per scontato l’imprimatur della Corte Costituzionale. Il quesito adopera le norme oggetto di abrogazione come se fossero dei contenitori di parole usando la tecnica di cambiare il senso e il significato delle frasi. In pratica, col pretesto di abrogare parti di leggi, le riscrive dando ad esse un differente contenuto dispositivo. E’ ammissibile un’operazione siffatta caratterizzata persino da un’evidente disomogeneità del quesito? La giurisprudenza della Consulta non è sempre stata univoca in proposito. Auguriamoci che anche stavolta ci sia un giudice a Berlino.

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Osvaldo Napoli è stato aggredito in Piazza del Parlamento. Che cosa possiamo aspettarci quando compassati commentatori – ben retribuiti e gelosi custodi dei loro stipendi – vanno in televisione ad affermare che la legislatura deve finire comunque prima che i parlamentari possano maturare il rateo del vitalizio?


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