Skip to main content

Perché è fatuo dire che l’Italia ora è più divisa del passato

Farage BEPPE GRILLO, Virginia Raggi

Tra i molti regali non richiesti e non graditi che ho ricevuto dalla mia avanzata maturità non c’è, fortunatamente, il rimpianto che invece vedo serpeggiare insidioso in molti commenti politici, pre e post referendum. L’Italia è un paese spaccato, diviso, confuso e rissoso – è l’analisi, peraltro condivisibile, da cui in genere si parte – mentre ai bei tempi andati eravamo più corretti e coesi, anche nella competizione. Ora: devo essermi distratto parecchio, nei decenni scorsi, perché io quest’età aurea della politica italiana non me la ricordo proprio. Anzi.

Ho purtroppo conosciuto bene i cosiddetti anni di piombo, che già dal nome la dicono lunga sul loro carattere lugubre, anche a chi non li abbia vissuti direttamente: tra coetanei di idee opposte ci si menava o sparava come usuale sistema di confronto e ogni tanto la cronaca registrava un sanguinoso quanto misterioso attentato. Passata questa fase con il cosiddetto riflusso, siamo entrati in Italia in un’epoca meno cruenta ma non meno convulsa, chiusa con un lancio di monetine contro un leader che ha poi finito i suoi giorni all’estero, esule o latitante che dir si voglia a seconda dei punti di vista. Abbiamo quindi vissuto un ventennio nel quale il più presente e potente uomo politico del paese è stato fatto oggetto costante di contumelie, attacchi e accuse che lo hanno reso un caso quasi unico nella storia politica occidentale (almeno fino all’arrivo di Donald Trump).

Ma, soprattutto, lungo questo mezzo secolo ricordo un’Italia sistematicamente priva della pur minima coscienza civica, composta da sudditi interessati per la stragrande maggioranza solo al proprio interesse personale e familiare, che ha sorretto una classe dirigente e istituzioni pubbliche di pessima qualità (i vari elementi a mio avviso vanno riportati in quest’ordine e non in quello inverso, spesso utilizzato, che tende a descrivere noi italiani come vittime incolpevoli di una bieca satrapia). Ricordo i governi balneari, gli esecutivi della durata media di un anno, i primi ministri killerati dalle loro stesse maggioranze. E non ricordo, ripeto, i grandi statisti del passato di cui si avverte il diffuso rimpianto.

Certo è possibile, anche nel quadro avvilente che ho forse troppo sommariamente descritto, salvare qualche frammento accettabile o addirittura nobile. Se si pescano un Luigi Einaudi che divide la mela con l’ospite al Quirinale, un Alcide de Gasperi che entra in punta di piedi ma con grande dignità nel consesso dei capi di Stato e di governo alla fine della seconda guerra mondiale, un Enrico Berlinguer che si erge a paladino della morale pubblica, fare un presepino della buona politica dei tempi andati è facile: ma questa non è la realtà storica, è la sua manipolazione.

I laudatores temporis acti sono pericolosi, infidi, perché impediscono il pragmatismo e il realismo che sono indispensabili se davvero si vuole offrire un futuro al proprio paese. Di molte cose abbiamo bisogno in questo momento, ma della nostalgia proprio no.


×

Iscriviti alla newsletter