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Chi sono i big del Pd che rischiano di non essere ricandidati in Parlamento secondo lo statuto democrat

C’è una questione che aleggia nelle stanze del Nazareno tra un conciliabolo e l’altro delle varie correnti interne. Un tema rimasto finora sottotraccia, che ben presto, però, contribuirà a rendere le acque in casa Pd ancora più agitate. Nessuno lo menziona pubblicamente, ma tutti sanno che esiste e che a breve dovrà essere affrontato. Con il rischio di provocare l’ennesima – forse definitiva – spaccatura.

I LIMITI ALLA RIELEZIONE

Il nodo sta tutto in una norma inserita a suo tempo all’interno dello statuto del Pd: una regola che – se applicata alla lettera rivoluzionerà la composizione dei gruppi dem alla Camera e al Senato nella prossima legislatura. La quale – al più tardi nel 2018 o, più probabilmente, tra la primavera e l’autunno del 2017 – è comunque destinata ad arrivare. Il principio in questione è previsto dall’articolo 21 dello statuto Pd, secondo cui “non è ricandidabile per la carica di componente del Parlamento nazionale ed europeo chi ha ricoperto detta carica per la durata di tre mandati“.

LE POSSIBILI DEROGHE

Fatta la norma, trovato l’inganno. Lo stesso statuto introduce, infatti, la possibilità di derogare a questo limite come, peraltro, è già avvenuto in passato. Perché ciò accada è, però, necessario che vi sia il voto favorevole della maggioranza assoluta della direzione nazionale del partito. Inoltre, si deve trattare di parlamentari i il cui contributo – recita testualmente l’articolo 21 – sia “fondamentale” alla luce “dell’esperienza politico-istituzionale, delle competenze e della capacità di lavoro” acquisite sul campo. Peraltro, si potrà fare un’eccezione “su richiesta esclusiva degli interessati, per un numero di casi non superiore, nella stessa elezione, al 10% degli eletti del Partito Democratico“. Pochissime deroghe, dunque, da distribuire però tra un numero molto elevato di deputati e senatori. Molti dei quali di prima e di primissima fascia.

I RENZIANI A RISCHIO

Ma quali big rischiano di fare la stessa fine di Massimo D’Alema e Walter Veltroni, che al termine della scorsa legislatura hanno deciso da soli di non ricandidarsi per non rimanere invischiati in questa battaglia? In bilico c’è anche il nuovo presidente del Consiglio Paolo Gentiloni arrivato alla quarta legislatura da deputato. Un renziano di ferro, non l’unico che avrà bisogno di una deroga per poter correre di nuovo per il Parlamento. Gli altri sono l’ex candidato sindaco di Roma Roberto Giachetti, l’ex sindacalista Teresa Bellanova, l’ambientalista Ermete Realacci e, tra i senatori, Giorgio Tonini.

I CAPICORRENTE IN CERCA DI DEROGA

A ben vedere, però, il gruppo che fa capo a Matteo Renzi è tra quelli che conta il minor numero di esponenti a rischio rielezione. Negli altri, infatti, ad avere bisogno della deroga saranno direttamente i capicorrente: un discorso che vale per il leader di Area Dem Dario Franceschini, per Pierluigi Bersani e Gianni Cuperlo della sinistra Pd, per i popolari Rosy Bindi e Beppe Fioroni e anche per Andrea Orlando, che rappresenta l’ala meno renziana dei Giovani Turchi. Tutti avranno bisogno di un’autorizzazione speciale per essere ricandidati.

GLI ALTRI NOMI

I nomi, anche di grido, però non finiscono qui. Tra gli altri vi sono gli ex ministri Anna FinocchiaroCesare Damiano e Vannino Chiti, il responsabile per le riforme istituzionali della segreteria del Pd Emanuele Fiano e i capigruppo di Camera e Senato – entrambi franceschiniani di ferro – Ettore Rosato e Luigi Zanda. E poi, ancora, esponenti anche di punta del governo Renzi, come Roberto Pinotti, Sandro Gozi, Marco MinnitiAntonello Giacomelli e Luigi Bobba. Completano il quadro Nicola Latorre, l’ex tesoriere del partito Ugo Sposetti, gli ex Scelta Civica Pietro Ichino e Linda Lanzillotta e il presidente della Commissione Trasporti della Camera – ed influente rappresentate del Pd laziale – Michele Meta.

CHI LA SPUNTERA’

Tra tutti questi nomi – anche così pesanti – chi spunterà il diritto a ricandidarsi? E chi sarà invece costretto a lasciare com’è accaduto, in passato, all’ex ministro Livia Turco? Molto dipenderà dall’esito del congresso in programma nei primi mesi del 2017 e dal peso specifico delle varie correnti, ciascuna delle quali proverà a salvare il più alto numero possibile di suoi rappresentanti. Sarà la direzione nazionale che nascerà dopo le primarie – al momento della composizione delle liste elettorali – a decidere chi sia meritevole di deroga e chi, invece, no. Le possibilità che questo passaggio si trasformi in una sorta di regolamento di conti tra le varie anime del Pd sono elevate: d’altronde – come ripetono in molti nei corridoi del Nazareno – lo strappo che si è consumato sul referendum, suggellato dal brindisi notturno tra D’Alema e Roberto Speranza, qualche conseguenza è inevitabile che la causi.


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