Sergio Mattarella si sente circondato. Da più parti arrivano richieste di andare al voto nel più breve tempo possibile mentre il presidente della Repubblica più volte nelle scorse settimane ha fatto sapere informalmente di essere contrario allo scioglimento delle Camere a prescindere da quello che sarebbe stato il risultato del referendum. Mattarella, perciò, farà di tutto per arrivare al 2018, a meno di non essere assolutamente costretto a comportarsi diversamente, e avrà le idee più chiare solo quando comincerà le consultazioni, cioè dopo le dimissioni formali di Matteo Renzi all’indomani dell’approvazione della legge di Bilancio.
C’è chi, come il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, propone elezioni a febbraio come avvenne dopo le dimissioni di Mario Monti nel dicembre 2012, e chi ipotizza il voto in un periodo tra marzo e maggio. Vanno comunque considerati alcuni dati oggettivi, a cominciare dalla decisione della Consulta che dichiarerà probabilmente incostituzionale la legge elettorale Italicum nella seduta del 24 gennaio, dopo il rinvio deciso all’inizio di ottobre per non influenzare il voto referendario. Se si votasse a febbraio, non si capisce come sarebbe conciliabile uno scioglimento delle Camere al massimo dopo l’Epifania (con due diversi sistemi elettorali per Camera e Senato) con la decisione della Consulta che cambierebbe le regole a Parlamento sciolto. A meno che nelle prossime settimane non ci fosse un accordo per una nuova legge elettorale che molti dicono possibile in tempi rapidissimi. Come se fosse facile mettere d’accordo partiti con obiettivi radicalmente diversi.
A questo si aggiunge che il 25 marzo ricorreranno i 60 anni della nascita della Comunità economica europea e le celebrazioni si terranno a Roma, dove i trattati vennero firmati. Se l’Italia si presentasse con un governo che gestisca solo l’ordinaria amministrazione, visto che quello potenzialmente uscito da nuove elezioni difficilmente sarebbe già in carica, quali impegni sul futuro dell’Unione potrebbero essere autorevolmente presi? E poi, quale governo pro tempore? Gli stessi ministri con un presidente del Consiglio diverso o uno nuovo dopo un rimpasto? In entrambi i casi, dopo la legge di Bilancio dovrebbe occuparsi del Monte dei Paschi e delle altre banche in difficoltà che non possono essere abbandonate ai marosi delle speculazioni e dei contrasti con l’Ue.
Eventuali elezioni anticipate, inoltre, costituirebbero un ulteriore elemento di tensione sui mercati finanziari anche perché potrebbero combaciare con le previste elezioni presidenziali francesi, già fissate per il 23 aprile e per il 7 maggio. Nelle conclusioni dell’Eurogruppo al termine della riunione del 5 dicembre è stato scritto che la manovra italiana “è a rischio di non rispetto del patto” e che dunque sarebbero necessarie “misure addizionali significative”. Cioè una manovra correttiva. A Bruxelles sanno che oggi il governo di Roma non è nelle condizioni di mettere mano alla legge di Bilancio, che sarà approvata di corsa così com’è, e per questo l’Eurogruppo aggiunge che “monitorerà l’attuazione delle misure aggiuntive a marzo 2017”, con inevitabile slittamento in caso di elezioni. Non vanno dimenticati neanche i grandi temi dell’immigrazione e del terrorismo che, come l’economia, sono gestiti sicuramente meglio da governi stabili, e la necessità di una costante attenzione alle zone terremotate.
Infine, c’è un elemento tipicamente nostrano. I parlamentari di prima nomina otterranno il diritto al vitalizio solo se resteranno in carica almeno 4 anni, 6 mesi e 1 giorno: tra Camera e Senato sono ben 608 su 945 e hanno tutta l’intenzione di aspettare la metà di settembre 2017, altrimenti non vedrebbero un euro al momento dell’età della pensione. L’attuale legislatura scadrà nel febbraio 2018, quindi tra un anno l’Italia sarà di fatto già in campagna elettorale: il compito più difficile di Mattarella da quando è al Quirinale sarà quello di trovare una soluzione che garantisca un po’ di stabilità per un altro anno e che accontenti tutti. Sembra facile…