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Vi racconto storie e numeri degli ultimi referendum

autonomia

A meno di una settimana dal referendum costituzionale del 4 dicembre, si parla in continuazione di affluenza. Sarà bassissima? Può superare il 60 per cento? Ad oggi, mentre con i sondaggi si può vagamente (in base alla qualità e alla dimensione del campione raccolto) avere un’idea di massima sulle sensibilità elettorali dei cittadini, è complicatissimo prevedere edintuire un’ipotetica percentuale di affluenza.

Ciò è difficile per due motivi fondamentali: il primo perché tra gli indecisi è complicato poter intuire, calcolare e immaginare in quanti alla fine prenderanno una posizione e andranno alle urne, e di contro quanti invece non imbracceranno la tessera elettorale. Il secondo motivo è persino più tecnico, anche se basato sul concreto. Infatti, è praticamente impossibile tracciare un grafico sull’andamento elettorale nei referendum costituzionali, in quanto le esperienze analoghe a quella di domenica prossima sono solamente due dal 1948 ad oggi, entrambe in epoca recente (2001 e 2006) e con due partecipazioni e risultati totalmente diversi tra loro.

Per chi non lo dovesse ricordare, il 7 ottobre del 2001 siamo stati chiamati alle urne per decidere se riformare il Titolo V, della Costituzione che viene nuovamente ritoccata dal Ddl Renzi-Boschi. In quell’occasione, nella prima esperienza di referendum costituzionale (dunque senza quorum), malgrado un’attenzione mediatica sicuramente inferiore a quella di quest’anno, l’affluenza fu abbastanza bassa: votò il 34 per cento degli aventi diritto. Vinse il “Sì” in modo abbastanza netto con oltre il 64 per cento dei consensi.

Discorso diametralmente opposto, quello dell’altra esperienza referendaria costituzionale, datata 25 giugno 2006 e più simile nelle tematiche a quello di domenica prossima, seppur maggiormente incisivo sul riassetto dei poteri. In quell’occasione la soglia (solo psicologica) dell’affluenza superiore al 50 per cento degli aventi diritto fu superata, con l’asticella che si fermò complessivamente (anche con i voti degli italiani all’estero) al 52,5 per cento. Anche il risultato fu diametralmente opposto a quello di cinque anni prima, con il “No” che si impose con il 61,3 per cento.

Oggettivamente non è possibile prevedere quale sia l’affluenza il 4 dicembre, ma possiamo solo riscontrare alcune osservazioni (seppur molto parziali) che ci lasciano le esperienze del 2001 e del 2006, senza alcun tipo di certezza che ciò venga esteso all’esperienza di quest’anno. Alcune osservazioni ci fanno innanzi tutto notare come vista la tematica in campo, visto anche il periodo dell’anno meno “balneare” di quel 25 giugno 2006 e vista l’esposizione mediatica di una battaglia referendaria perdurata per otto lunghissimi mesi, l’affluenza potrebbe rivelarsi più in linea con l’ultima esperienza che non con quella del 2001. Di contro ci sono due fattori da non sottovalutare: il primo è il calo della partecipazione al voto degli ultimi anni, che potrebbe (ma non è detto) verificarsi anche su una partita che non si gioca sulla scalata democratica ad un esecutivo, ma sulle regole del gioco; il secondo fattore è il comportamento dell’elettorato di centrodestra, che storicamente è apparso quello più latitante nelle precedenti due esperienze uscendone sempre diviso e sconfitto, e ancor più quanto l’elettorato grillino, almeno in parte composto da una fetta di cittadini che non andavano alle urne, potrà incidere su un’eventuale incremento dell’affluenza.

Infine, ma non da ultimo, per chi sostiene che la partita si potrebbe giocare sul filo di lana, e che a fare da ago della bilancia potrebbero essere gli italiani all’estero, va osservato come questi hanno potuto votare solo al referendum del 2006, e che quindi l’esperienza è ancora più parziale. In quell’occasione espressero la propria posizione solo il 27 per cento di loro, pari a circa il 2,9 per cento del totale dei votanti.



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