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Perché il nuovo Titolo V non funzionerà. La guida del prof. Celotto per il No al referendum

LE ULTERIORI FORME DI AUTONOMIA SPECIALE

Art. 116 – “Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui all’articolo 117, secondo comma, lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, m), limitatamente alle disposizioni generali e comuni per le politiche sociali, n), o), limitatamente alle politiche attive del lavoro e all’istruzione e formazione professionale, q), limitatamente al commercio con l’estero, s) e u), limitatamente al governo del territorio, possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, …. purché la Regione sia in condizione di equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio…“.

La Costituzione – accanto alle Regioni ordinarie – aveva istituito cinque Regioni a Statuto speciale, per ragioni storiche, linguistiche e territoriali. Con la riforma costituzionale del 2001 si era previsto che altre Regioni potessero chiedere forme di autonomia speciale e più ampia. Questa autonomia non è mai stata concessa, fino ad ora.
Ora, si modificherebbe l’art. 116 per limitare gli ambiti in cui riconoscere forme di autonomia speciale, comunque specificando che devono essere Regioni in equilibrio di bilancio. Non si comprende quale utilità possano avere queste forme speciali di autonomia regionale, in un quadro in cui la tendenza generale è verso un ritorno a competenze statali.

IL RIPARTO DI COMPETENZE TRA STATO E REGIONI

Art. 117 – “Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie…. n) disposizioni generali e comuni sull’istruzione; ordinamento scolastico; istruzione universitaria e programmazione strategica della ricerca scientifica e tecnologica; o) previdenza sociale, ivi compresa la previdenza complementare e integrativa; tutela e sicurezza del lavoro; politiche attive del lavoro; disposizioni generali e comuni sull’istruzione e formazione professionale; p) ordinamento, legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni e Città metropolitane; disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni; s) tutela e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici; ambiente ed ecosistema; ordinamento sportivo; disposizioni generali e comuni sulle attività culturali e sul turismo; u) disposizioni generali e comuni sul governo del territorio; sistema nazionale e coordinamento della protezione civile;

Spetta alle Regioni la potestà legislativa in materia di … nonché in ogni materia non espressamente riservata alla competenza esclusiva dello Stato.

Su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale“.

I Costituenti avevano scelto un modello di stato accentrato, con le Regioni ordinarie che avevano soltanto poteri legislativi di integrazione rispetto ai principi fissati dallo Stato (“competenza concorrente”).
Con la riforma costituzionale del 2001 (“Titolo V”) si era pensato di orientare l’Italia verso il federalismo, con un riconoscimento forte di competenze alle Regioni, anche in campo legislativo. E’ stata una “rivoluzione copernicana”, ponendo le Regioni al centro del sistema: si è previsto che tutte le materie legislative spettano alle Regioni, salvo un elenco di materie principali di competenza “esclusiva dello Stato” e un altro elenco di materie a “competenza concorrente” (in cui lo Stato fissa i principi e le Regioni il dettaglio).
Tuttavia l’applicazione di questa riforma non ha funzionato. Le Regioni si sono mostrate deboli e la ripartizione di competenze ha creato molti conflitti. Risolti dalla Corte costituzionale quasi sempre a favore dello Stato.
Ora si proporrebbe una correzione:
– ampliando l’elenco delle competenze legislative esclusive dello Stato (tutte le materie principali: ad es., politica estera, ordine pubblico, immigrazione; difesa, moneta, sistema tributario; giurisdizione e cosi via);
– eliminando la competenza concorrente (che, tuttavia, cacciata dalla porta, rientra dalla finestra: che ruolo avrebbero le regioni, se non un ruolo concorrente, rispetto a competenze statali esclusive su “disposizioni generali” sull’istruzione e sul governo del territorio? Si veda l’ art. 117, 2° comma, lett. n, o, p, s, u; ma anche l’art. 40, comma 4 sugli enti di area vasta);
– concentrando la competenza regionale su una serie di materie spesso marginali (pianificazione del territorio, programmazione e organizzazione dei servizi sanitari e sociali, promozione dello sviluppo economico locale; organizzazione in ambito regionale dei servizi alle imprese; etc.);
– consentendo in via generale allo Stato di intervenire su qualsiasi materia a tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, (interesse nazionale).
Sembra una riforma parziale e incompleta. Se il tentativo verso il federalismo del 2001 non ha funzionato, non si capisce perché ora dovrebbe funzionare meglio un federalismo attenuato. In fondo, sarebbe stato molto più semplice tornare al modello originario della Costituzione. Con competenze accentrate sullo Stato e poche materie di dettaglio affidate alle Regioni. Era molto più semplice e affidabile tornare ad un modello che aveva operato bene.

Quinta di cinque puntate tratte dalla guida alla riforma costituzionale scritta dal prof. Alfonso Celoto dal titolo “Questa volta No”. La prima è consultabile qui, la seconda qui, la terza qui, la quarta qui.   


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