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Chi c’era e cosa si è detto al forum sulla sostenibilità organizzato da Advantage Financial

Dubbi non devono esserci. Le alternative esistono, ma portano dritte a risultati fallimentari. La sostenibilità rappresenta l’unica via per garantire lo sviluppo sia in ambito economico che sociale. E’ difficilmente equivocabile il messaggio di fondo che è arrivato ieri dal forum organizzato alla Camera dei Deputati da Advantage Financial, l’investment company – guidata da Francesco Confuorti – attiva nel corporate, institutional e private banking.

L’INIZIATIVA

All’iniziativa – moderata dal fondatore di Formiche e direttore del Centro Studi Americani Paolo Messa – hanno partecipato, oltre a Confuorti, numerosi rappresentanti del mondo istituzionale, accademico e produttivo non solo italiano. All’appuntamento erano presenti il sottosegretario al ministero dell’Ambiente Barbara Degani accompagnata dal consigliere diplomatico del dicastero guidato da Gian Luca Galletti, Stefano Marguccio, l’ex ministro del Lavoro e presidente Istat – e attuale portavoce dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo SostenibileEnrico Giovannini, l’economista francese con cattedra alla Columbia University di New York Pierre-André Chiappori, l’ambasciatore Raffaele De Lutio in rappresentanza della Farnesina, il vicedirettore del Corriere della Sera Federico Fubini, Carole Kariuyki ceo di quella che può essere considerata la Confindustria del Kenya e Massimo Beccarello di Confindustria Energia.

LA SOSTENIBILITA’ INEVITABILE

Non un concetto astratto, ma  – al contrario – qualcosa di concreto, in grado di portare benefici da tutti di vista. In primis sotto il profilo ambientale – com’è stato sostenuto nel corso del forum – ma anche per quanto riguarda l’economia e il lavoro. “In tema di green finance e di rating ambientale siamo stati pionieri in Italia, convinti che proprio la sostenibilità – guardando ad esempio a progetti B2B in Africa – sia oggi la direzione da seguire per la stessa leadership economica“, ha sottolineato Confuorti. Idea ribadita anche dal sottosegretario Degani, per la quale la sostenibilità è la ricetta da seguire per le imprese che vogliano ottenere performance sempre migliori. Ancora più chiaro su questo punto il ragionamento dell’ex ministro Giovannini secondo cui – solo in questo modo – sarà possibile garantire l’aumento dei fatturati e, al tempo stesso, dei posti di lavoro: “Le aziende devono smettere di concentrarsi unicamente sul costo del personale che pesa non più del 20% sui costi complessivi dell’attività. Ciò che occorre è la sostenibilità dei processi produttivi con cui generare valore sia per l’impresa che per i lavoratori“.

IL CONVITATO DI PIETRA

La crescente consapevolezza a livello globale sulla necessità di uno sviluppo che sia sostenibile è stata, però, messa a dura prova nelle ultime settimane dall’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca. Inevitabile che la discussione di ieri – anche alla luce delle recenti e contestate decisioni – si concentrasse anche sul neo-presidente Usa che in più di un’occasione ha dichiarato di voler smantellare alcuni punti fermi della precedente amministrazione targata Barack Obama, in particolare in materia di ambiente e commercio estero.

LA VERSIONE DI CHIAPPORI

Ed è soprattutto a questi elementi che ha dedicato il suo discorso il professore della Columbia Chiappori. L’economista non ha nascosto le sue perplessità sulle prime scelte adottate da Trump, ma anche aggiunto di non sapere cosa aspettarsi per il futuro: “Dice tutto e il contrario di tutto. Ad oggi, effettivamente, non siamo in grado di prevedere come il nuovo presidente Usa deciderà di muoversi“. Più di qualche indicazione, però, è già arrivata in questi pochi giorni trascorsi dall’Inauguration Day del 20 gennaio scorso.

LE PREOCCUPAZIONI PER L’AMBIENTE

Le prime preoccupazioni – ha fatto presente Chiappori – derivano dall’atteggiamento complessivo che Trump sta mostrando a proposito delle politiche di sostenibilità ambientale. In quest’ambito lo studioso francese sottolineato i buoni risultati raggiunti negli ultimi anni, in particolare con l’accordo di Parigi sul clima del dicembre 2015 e la decisione della Cina di fare per la prima volta passi in avanti in materia. Progressi che il neo-presidente Usa, secondo Chiappori, sta mettendo a rischio, non solo per sua diretta volontà. Molto stanno già incidendo i collaboratori che stanno accompagnando Trump nella sua esperienza alla Casa Bianca. A tal proposito l’economista ha citato, tra gli altri, il nuovo segretario all’Energia Nick Perry e quello allo Sviluppo Ben Carson, entrambi accreditati di posizioni tutt’altro che ambientaliste.

IL RITORNO DELLE DOGANE

Analoghi dubbi Chiappori li ha espressi in merito all’ostilità che Trump sta palesando contro gli accordi internazionali di libero scambio. Un orientamento confermato dallo stop al TPPil trattato di libero scambio con gli altri Paesi dell’Oceano Pacifico (Cina esclusa) – che era stato uno dei cavalli di battaglia dell’amministrazione Obama. E, ancora, la dichiarata avversione nei confronti del TTIP – il trattato di libero scambio con l’Europa, ormai sul punto di fallire anche per via delle perplessità del Congresso americano e di molti dei Paesi membri dell’UE – o il proposito di cancellare il Nafta, l’accordo che dal 1992 ha liberalizzato il commercio tra Usa, Canada e Messico. In questo senso – ad avviso di Chiappori – alla base delle decisioni di Trump vi sarebbe “un’errata comprensione di base. Il nuovo presidente degli Stati Uniti è convinto che il libero commercio indebolisca l’economia Usa e riduca i posti di lavoro, ma non è così“. Innanzitutto perché – attraverso questo tipo di accordi – “gli americani possono acquistare prodotti sul mercato a prezzi più bassi di quanto accadrebbe, invece, in loro assenza“. E poi, perché, il ripristino delle frontiere avrebbe “effetti negativi sull’approvvigionamento di materie prime“, con inevitabile aumento dei costi e ripercussioni, dunque, anche sulle casse delle imprese. Infine Chiappori ha smentito che il libero scambio distrugga posti di lavoro: “Il saldo è positivo: ne ha creati di più di quanti non ne abbia eliminati“. Un aspetto, quest’ultimo, sul quale l’economista della Columbia University ha però anche fatto autocritica: “Gli studiosi hanno prestato troppa poca attenzione alle persone che per via del libero commercio e della globalizzazione hanno perso il loro posto di lavoro: occorrono energiche politiche in loro favore“. Valutazione condivisa dal vicedirettore del Corriere della Sera Federico Fubini, per il quale “non possiamo più permetterci di sottovalutare la frustrazione del ceto medio“. Che nei Paesi più avanzati – Stati Uniti, Gran Bretagna ma anche Italia – sta pagando lo scotto più alto alla globalizzazione dei mercati.

LA STOCCATA SUL TEMA IMMIGRAZIONE 

L’ultima staffilata rifilata da Chiappori a Trump non poteva non riguardare la dibattuta decisione di bloccare l’ingresso negli Stati Uniti ai cittadini provenienti da sette Paesi musulmani, il cosiddetto “Muslim Ban”: “Gli Stati Uniti sono un Paese la cui ricchezza è stata sempre costruita sull’immigrazione. Ciò fin dalle origini della loro storia, dai rapporti con l’Inghilterra in poi. Voltare le spalle a questa tradizione non solo è triste, ma anche fortemente dannoso“.


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