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The Banker del Financial Times premia la cooperazione bancaria

Lo scorso dicembre, con una cerimonia presso Hilton London Bankside, l’autorevole rivista The Banker del Financial Times Group, ha assegnato il premio “Banca dell’anno” per il 2016. The Banker è una rivista internazionale distribuita in 180 paesi con una banca dati a disposizione di circa quattromila profili bancari dai quali, valutando capacità finanziaria, redditività e prestazioni, ogni anno, viene assegnato il prestigioso premio. Quest’anno il premio è andato al gruppo finlandese OP Financial e a quello francese BPCE. Si tratta di due importanti realtà del mondo della cooperazione bancaria europea.

Il gruppo finlandese ha registrato, nel 2016, una forte crescita con un incrementi di utile netto, capitale Tier 1 e attività rispettivamente del 40, 27 e 13%. Dati ancora più significativi se inseriti nel contesto di recessione dell’economia finlandese del 2015 e di crescita molto lenta del 2016. Il modello di bancassicurazione integrato della banca ha visto il numero di clienti bancari comune e assicurativi aumentare del 4% anno su anno fino a 1,67 milioni della prima metà del 2016, grazie anche al miglioramento dell’accessibilità attraverso orari prolungati e un’offerta in continua espansione e modernizzazione dei servizi digitali. Il gruppo francese si è segnalato, oltre che per la capacità di recupero di utile netto in crescita del 11,6%, per la strategia messa in atto relativamente alla sfida innovativa proseguendo nella politica di acquisizioni selettive con l’acquisto di Fidor, banca digitale al 100% e PJ Solomon specializzata in fusioni e acquisizioni. Nel 2016 è stato il primo gruppo bancario nella zona euro ad offrire servizi di pagamento tramite smartphone Apple con le sue due reti bancarie al dettaglio, Banque Populaire e Caisse d’Epargne. Notevoli e fondate sono anche le aspettative per il 2017 sulla capacità di attrarre nuovi clienti.

In Europa, insomma, anche l’attribuzione di un premio da parte di una delle più autorevoli e specialisti riviste del mondo bancario e finanziario, che fa capo al Financial Times conferma quanto la formula della cooperazione bancaria sia ancora, oggi più di prima, un modello primario di efficienza e di riferimento per il corretto esercizio della funzione creditizia e monetaria a favore delle famiglie, dei privati e delle imprese cuore dell’economia reale.
L’Italia, invece, grazie a scelte politiche molto discutibili sta andando in tutt’altra direzione. Ma per fortuna, come suol dirsi, “il diavolo fa le pentole ma non i coperchi”. Nel 2015 il governo Renzi tenta di abolire le banche popolari, spacciando per “riforma” il tentativo di cancellarle. E, animato da questa foga distruttiva lo ha fatto come se si trattasse di una necessità straordinaria per di più urgente tanto da usare il decreto-legge che la Costituzione riserva appunto a “casi straordinari di necessità e d’urgenza”. Come, infatti, è stato da più parti sottolineato, parlare di riforma delle popolari è profondamente scorretto visto che l’abolizione per legge delle popolari non è affatto una riforma, ma un’altra cosa, è, appunto, un’abolizione.

Come mai però le banche cooperative continuano a esistere, a essere difese, salvaguardate e valorizzate in tutto il mondo, anche in conseguenza della pessima “performance” realizzata dalle Spa dopo il fallimento della Lehman e la crisi che ne è venuta, e in Italia si vuole abolirle? Forse per rispondere a questa domanda serve un pizzico di malignità e allora non rispondiamo e facciamo un’altra domanda. Forse le banche popolari italiane e più in generale la cooperazione bancaria, proprio per l’invidiabile posizione di mercato acquisita stato di salute di cui godono, sono molto appetibili e dunque contendibili? Forse, come del resto sta accadendo per il patrimonio industriale e finanziario italiano, è in corso un’operazione di spoliazione da parte del resto d’Europa che non risparmia il sistema bancario? Come si spiega, altrimenti, la mancanza di difesa del sistema Paese che al contrario dovrebbe tutelare quella parte del proprio sistema bancario che più è necessario per finanziarie le imprese, soprattutto quelle piccole e medie?

Intanto, però, la giustizia amministrativa ha congelato questa “riforma” che, come abbiamo visto, riforma non è, congelando le trasformazioni in S.p.A. delle banche popolari, spiegando che la straordinaria necessità ed urgenza, che solo avrebbe giustificato l’adozione del decreto legge è tutta da chiarire e approfondire e per questo ha chiamato a pronunciarsi la Corte Costituzionale. Grazie ai giudici amministrativi ora la questione si riapre completamente e certamente ci sono le condizioni perché possa essere risolta salvando il salvabile e salvaguardando la funzione essenziale del modello del credito cooperativo delle banche popolari e territoriali e il ruolo insostituibile che le stesse svolgono a favore delle economie delle zone di appartenenza salvaguardando la concorrenza da ogni tentativo sempre dietro l’angolo di oligopolio e di bonapartismo economico. Come del resto avviene in tutto il mondo dove l’altro modello, quello della banca globale, così universalmente esaltato e sponsorizzato nel momento del massimo dispiegamento della globalizzazione e del neoliberismo degli anni ’80 e ’90 è considerato, altrettanto universalmente, già morto e sepolto come scrive il Financial Times.



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