Ci mancava soltanto accorgersi che anche il sindacato pensionati della Cgil usa i voucher per retribuire decine di attivisti che assicurano la loro presenza nelle sedi periferiche. Nella Confederazione, raccontano che lo “scandalo” è circoscritto a Bologna, dove lo ha scoperto e denunciato uno scoop giornalistico. Può essere, invece, che si tratti di una piccola punta di un iceberg sommerso. Ma il problema non è questo, perché, usando i buoni lavoro, i dirigenti sindacali dimostrano soltanto di avere giudizio. Merita invece di riflettere sulle argomentazioni che vengono fornite per giustificare questa linea di condotta. Colti in fallo, allo Spi di Bologna rispondono che loro sono per abrogare questi “pizzini” (come li chiama Susanna Camusso), ma che, per adesso, è il modo più appropriato per retribuire queste prestazioni.
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L’assessore al Lavoro della Regione Emilia Romagna, Patrizio Bianchi, ha dichiarato con onestà intellettuale che: “Sui voucher è meglio non buttare il bambino con l’acqua sporca. I voucher sono nati come alternativa al lavoro nero per interventi particolari di natura straordinaria e non ripetitiva… Se non ci saranno più i voucher – ha proseguito – bisognerà pensare ad uno strumento del genere per disciplinare quel tipo di prestazioni: l’alternativa altrimenti è il lavoro nero”.
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Si è parlato molto poco del quesito sugli appalti, che si propone di cassare parti del comma 2 dell’articolo 29 del dlgs n.276/2003, limitatamente alle parole: “Salvo diversa disposizione dei contratti collettivi nazionali sottoscritti da associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative del settore che possono individuare metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli appalti,”. In sostanza, un sindacato chiede che sia abrogata una norma che gli attribuisce (se vuole) il potere di negoziare “metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli appalti” (lo ripetiamo, parola per parola, perché si comprenda bene l’assurdità del quesito). La Cgil si spinge fino a fare propria la battuta, più volte ricordata, di Groucho Marx (ripresa da Woody Allen): “Non aderirei mai ad un club che accettasse tra i suoi soci persone come me”.
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Fino a qualche settimana fa, Manuel Poletti lo conoscevano soltanto i famigliari, i colleghi di lavoro, gli amici del Bar Sport. Oggi riceve minacce (anche di morte) ed è finito sotto tutela di pubblica sicurezza. Che cosa è successo nel frattempo? Che cosa è cambiato nella vita di Manuel da sconvolgerla all’improvviso? Nulla. Il morbo immondo dell’invidia sociale lo ha infettato. Si è solo scoperto che è figlio (lo è dalla nascita) del ministro del Lavoro Giuliano Poletti e che, probabilmente grazie all’aiuto del padre, si occupa di una pubblicazione (SetteSeraQui) della Lega Coop, un mestiere che gli consente di percepire una retribuzione sufficiente ad assicurare (come recita l’articolo 36 della Costituzione) una vita dignitosa a se stesso e alla sua famiglia. Da quando a suo padre sono scappate alcune battute discutibili (ma non completamente infondate) sui giovani che vanno a lavorare all’estero e la stampa si è precipitata sulla pista del figlio (come fece a suo tempo con la figlia, docente universitaria, di Elsa Fornero), Manuel è coperto di insulti sulla rete. E vive blindato, perché qualcuno si è preso la briga di inviargli anche dei proiettili calibro 9. Ma non capita mai che i giornalisti – che adesso si dichiarano solidali con il loro collega minacciato – scoprano qualche “figlio d’arte”, tra i tanti, della loro categoria?
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Giro di vite sull’immigrazione. Parrebbe di sì a sentire le recenti proposte del ministro dell’Interno Marco Minniti che ha persino rivalutato i “famigerati” CIE. Mentre il ministro Roberta Pinotti ha annunciato un cambiamento di linea nella lotta ai mercanti di vite umane. Siamo al classico “contrordine compagni”?
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A giustificazione delle vacanze di Beppe Grillo a Malindi è intervenuto Flavio Briatore precisando che i resort in Kenia sono meno cari che a Cortina (un’amena località dove sono soliti recarsi in villeggiatura le famiglie italiane monoreddito).