“Ogni rivoluzione deve iniziare dal basso. Per questo vogliamo immaginarci come una piramide rovesciata, dove al vertice sta la base e alla base sta il vertice”. Gaetano Quagliariello è convinto che si vada a votare nel 2018, a scadenza di legislatura. Questo è il margine di tempo in cui il centrodestra può ricostruirsi, per presentarsi come valida alternativa al Pd e al renzismo. Idea – Popolo e Libertà, il movimento politico che ha creato dopo l’uscita da Ncd e che ora conta 4 senatori e 3 deputati, nel centrodestra del futuro ci vuole essere. Ma vuole ripartire dal basso, con una rete che coinvolge i territori. Sono circa 400 gli amministratori locali che guardano a Idea per organizzarsi in vista delle prossime elezioni. Venerdì Quagliariello, insieme a Carlo Giovanardi ed Eugenia Roccella (ma in Parlamento ci sono anche Andrea Augello, Luigi Compagna, Guglielmo Vaccaro e Vincenzo Piso) ha incontrato i rappresentanti di una trentina di sigle di movimenti, liste civiche e associazioni locali pronte a impegnarsi in questa nuova avventura. E altre 20 sono in arrivo. Alcune di esse sono di gran peso. Come “Noi Centro”, dell’ex presidente della provincia di Brindisi Massimo Ferrarese, di cui fa parte anche l’attuale sindaca della città pugliese, Angela Carluccio. O la lista “Cuori italiani”, presente con amministratori in diverse realtà del Lazio. E “Verona Domani” di Stefano Casali, che viene dal movimento di Flavio Tosi. Ci sono le associazioni “Sviluppo donna” e “Lavori in corso”, e i movimenti “Lavoro e sviluppo Basilicata” e “Pisa nel cuore”. “C’è un 10-15% di elettori di centrodestra che non ci vota più e noi dobbiamo andare a riprenderli”, osserva Casali.
C’è gente che arriva da Forza Italia, da Ncd, da Scelta civica, ma anche dalla Margherita e dai tosiani. La chiamata alle armi serve a costituire un patto federativo tra Idea e i movimenti, un’alleanza che lascerà ampia autonomia a ciascuno di loro sui territori, ma che offre però una piattaforma comune su cui muoversi a livello nazionale. Gli interlocutori, naturalmente, saranno tutti i partiti che si riconoscono nel centrodestra: da Fi alla Lega, da Fdi a Fitto, fino al nuovo soggetto di Storace e Alemanno. Non Ncd, considerato un partito filo renziano e con cui i rapporti, dopo il divorzio di Quagliariello, stanno a zero, almeno con Angelino Alfano. “Noi saremo progressisti in ambito sociale, liberali in economia e reazionari nei costumi. Vogliamo essere il polo cristiano-conservatore del centrodestra, coniugando politica e civismo”, spiega l’ex ministro. Che è reduce da due battaglie: quella persa sulle unioni civili e quella vinta al referendum costituzionale. Il fondatore di Magna Charta (piattaforma che rimane insieme a L’Occidentale) è stato uno dei più agguerriti nemici della riforma renziana e la vittoria del No porta anche la sua firma. “L’errore di Renzi è stato quello di spaccare il Paese sulla Costituzione, che invece dovrebbe unire”, dice Quagliariello. Che vuole ripartire dalle idee. “Senza di loro la politica non ha alcun senso, diventa asfittica, e allora si scivola nella post verità e nello sterile dibattito quotidiano che non porta a nulla”, osserva il senatore.
Gli amministratori locali sono interessati, quasi entusiasti. “Il problema di fondo – racconta uno di loro che vuol restare anonimo – è il fallimento di Forza Italia, che come partito non è mai decollato e non è assolutamente in grado di recepire le istanze in arrivo dal territorio. Ma Fi ha fallito anche a livello progettuale, non riuscendo a trasformare in idee sistemiche alcune brillanti intuizioni come la rivoluzione liberale, il garantismo o la lotta alla burocrazia”. Ben venga, dunque, qualsiasi cosa nuova che si muove a destra.
“Vogliamo andare a coprire un segmento scoperto del centrodestra, forti delle nostre battaglie e della nostra identità. La famiglia, per noi, è solo quella costituita da un uomo e da una donna. E consideriamo l’utero in affitto un abominio”, spiega l’ex coordinatore di Ncd. Che guarda anche alla legge elettorale. “Come ha detto il presidente Mattarella, occorre una legge unica, che rimetta in armonia Camera e Senato”. I tempi sono lunghi e l’orizzonte in cui ci si muove guarda al 2018.